martedì 31 luglio 2018

A Villaggio Fraternité si coltiva-di Ilaria Tinelli


A Villaggio Fraternité si coltiva: Coltiviamo i diritti dei bambini!
Coltiviamo i loro diritti offrendogli l’opportunità di poter frequentare la scuola e crescere, di far maturare i frutti di una buona formazione proveniente dalla preparazione che i nostri insegnanti e nostri educatori quotidianamente gli trasmettono.
Coltiviamo i loro diritti perché ogni bambino del Centro d’Accoglienza viene sostenuto in quanto persona umana, garantendo le spese mediche e quelle scolastiche, il supporto pomeridiano nello svolgimento dei compiti e un pasto quotidiano. Ci prendiamo cura degli “ultimi”, di quei bambini che si trovano a vivere in famiglie con difficoltà economiche, che sono orfani e che hanno degli handicap.

A Villaggio Fraternité si coltiva: coltiviamo i legami interpersonali!
Coltiviamo i legami di amicizia che, piano piano, iniziano a germogliare e a portare colore laddove la terra, nonostante sia nel cuore della foresta equatoriale, non è sempre fertile. Quelli con i bambini, con i colleghi, con il popolo camerunese per riuscire, nutriti dallo stesso “fertilizzante d’amore”, a sbocciare vicini per colorare questa terra e renderla più vivace perché, solo uniti, possiamo far diventare incantevole il mondo in cui viviamo.
A Villaggio Fraternité si coltiva: coltiviamo frutti ed ortaggi!
Coltiviamo papaye e guaiave, ananas e platani, avocado e manghi per portare un po’ di dolcezza nella vita di chi, quotidianamente, mette piede a Villaggio, ma anche in quella di chi, al mercato, decide di comprare i nostri prodotti.
Coltiviamo i folong che, da piccoli semi che erano, abbiamo visto crescere giorno dopo giorno annaffiandoli, piante di cui ci siamo prese cura lavorando la terra, potandoli, nutrendoli ancora e cogliendoli per poi cucinarli e servirli nei piatti dei nostri bambini.


A Villaggio Fraternité si coltiva: coltiviamo la nostra crescita personale!
Coltiviamo la nostra crescita mettendoci in gioco anche quando le nostre proposte vengono rifiutate, continuando la partita senza scoraggiarci dal goal subito e giocando in attacco.
Coltiviamo la nostra crescita personale perché ci confrontiamo con i nostri difetti, cercando di migliorarli e, perché no, con i nostri pregi, valorizzandoli.
Coltiviamo la nostra crescita personale quando, dall’amore donato ai nostri bambini durante l’anno scolastico, ne riceviamo in cambio uno più grande, venendo così rivestiti da una grande gioia, frutto della relazione di affetto creatasi.
A Villaggio Fraternité si coltiva: coltiviamo la bellezza di vivere!
Coltiviamo e apprezziamo giorno dopo giorno, tramonto dopo tramonto, abbraccio dopo abbraccio, il fascino della vita, quel respiro puro, quella boccata d’ossigeno che tanto desideravo trovare all’inizio del mio anno di Servizio Civile.
Coltiviamo la bellezza della vita con ogni sua sfumatura, negativa o positiva che sia, in ogni sorpresa che ci offre e che mai ci saremmo aspettati perché è soltanto quando ci sentiamo pieni dell’amore vero che la vita ci sorride ogni giorno.



Ilaria Tinelli

venerdì 20 luglio 2018

Ça va aller-di Anna Franzoni


Spaesamento, questo è quello che ho sentito quando per la prima volta ho toccato la terra rossa. Nulla che riconoscevo, che mi ricordava qualcosa. Tutti i sensi hanno iniziato a provare sensazioni nuove: nuovi odori, nuovi rumori, nuovi sapori, nuove immagini. Sono atterrata a Yaoundé, capitale del Camerun, il 5 dicembre e ancora dopo sei mesi queste sensazioni non mi abbandonano. Ma è proprio questo il bello di fare un’esperienza come il Servizio Civile in un paese ben lontano dal tuo: ogni giorno ci sarà qualcosa di nuovo pronto a sorprenderti e da imparare. Non è stato facile ambientarsi, il primo mese è servito praticamente solo a questo, a porsi la domanda “Dove sono?”. Ma il bello inizia proprio quando cominci a provare a rispondere a questa domanda, quando decidi di scoppiare quella bolla di cui ti eri circondato che ti teneva lontano dalla realtà. Così ho cominciato ad uscire da Villaggio Fraternitè con uno spirito diverso, con uno spirito d’accoglienza e scoperta. E una sera, insieme alle altre ragazze con cui sto condividendo questa esperienza, mi sono ritrovata a una festa, che in verità era un funerale. Si ballava e si cantava in onore di una persona deceduta. È stato uno shock all’inizio, come puoi festeggiare una morte? I camerunesi a questa domanda risponderebbero “Ça va aller”, letteralmente andrà bene. È un loro modo di dire che rispecchia anche il loro modo d’essere. Non porta a nulla lamentarsi, piangersi addosso a causa di ciò che manca, di ciò che ci è stato portato via, di una malattia, di un episodio triste. È un modo di vivere che porta a enfatizzare ciò che di bello c’è nel presente e ciò che di bello ci riserva il futuro, anche in un momento così triste come può essere la morte di un caro. 



Purtroppo, questo atteggiamento nei confronti della vita porta con sé anche un lato negativo: la resa. “Prima o poi andrà bene, questo è quello che Dio vuole per noi adesso”. Si rimanda tutto, dalla gioia più piccola al problema più grande, alla volontà di Dio. La realtà è che il Camerun è uno dei paesi più sviluppati dell’Africa Centrale, dove la qualità di vita è accettabile in confronto ai paesi limitrofi. Questo porta, quindi, i camerunesi ad accontentarsi di quel poco che gli viene dato, senza pretendere nulla di più, anche per la paura di venir privati per quello che già hanno. E così: i tagli della corrente, le strade dissestate, i dottori che in verità sono infermieri, gli abusi di potere, la corruzione, nulla di tutto questo diviene un motivo di ribellione, perché in fondo nel proprio piccolo si sta sufficientemente bene. Come ogni paese anche questo ha i suoi lati positivi e negativi, ma ciò da cui non puoi rimanere immune è l’allegria, la gioia e i colori che accompagnano ogni momento della giornata: quando passeggi per strada, quando vai al mercato, quando i bambini dell’orfanotrofio ti accolgono con urla e baci, o semplicemente quando ti siedi al bar a bere una coca cola per rinfrescarti. È difficile, qui, passare una giornata senza mai sorridere e ridere.



                                                                                                                                                             Anna Franzoni


martedì 10 luglio 2018

Dopo 7 anni si torna a scuola…ma dall’altra parte della cattedra-di Marta Chionchio

In questi mesi di servizio civile ho conosciuto ragazzi di tutti i cicli scolastici e devo ammettere che, nonostante avessi avuto più di un’esperienza nell’ambito dell’educazione, ho sempre un pizzico di paura dentro di me quando affronto una nuova classe.
Una sana ansia per la quale mi chiedo se riuscirò a trasmettere ai ragazzi che mi stanno davanti quei valori che per me sono fondamentali e che ci dovrebbero rendere tutti dei cittadini attivi e consapevoli.

Rimango sempre felicemente spiazzata dalla semplicità e dalla naturalezza con cui i bambini delle elementari affrontano i temi dell’inclusione e della diversità, è bello vedere come per loro queste siano occasioni per esplorare qualcosa di nuovo e scoprire quelle cose che ci rendono uguali al resto del mondo e quelle diversità che, invece di dividere, ci arricchiscono.



Le medie sono già un’altra storia, non so cosa succeda nell’estate tra la 5° elementare e la 1° media ma deve essere qualcosa programmata per essere dimenticata perché provando a ricordare quel passaggio della mia vita per empatizzare di più con i ragazzi , non sono riuscita a ricordare assolutamente nulla, tranne il disagio.
Con questa allegra e positiva premessa sono entrata nella prima classe delle medie poi nelle restanti 4, un mese di incontri intenso, faticoso, ma ricco di scambio.
Tantissime domande, tantissimi dubbi a cui rispondere, coscienze che si stanno formando, ragazzi più o meno sensibilizzati all’argomento della diversità.
A quest’età si vede quanto i discorsi che si fanno in famiglia siano importanti per la formazione di un ragazzo.
Spero e prego che anche al ragazzo più polemico e scettico che abbiamo incontrato sia rimasto un seme dentro che, a tempo debito e con i giusti stimoli, porterà frutto.

Infine il meraviglioso Liceo, ecco, se i ragazzi delle medie erano pieni di domande i ragazzi del liceo l’esatto contrario.
Il nostro era un progetto di alternanza scuola lavoro in un periodo di polemiche non molto felice per questo tipo di iniziativa.
Questo è stato il primo progetto di Educazione allo sviluppo a cui ho partecipato come volontaria del servizio civile ed è stato probabilmente per questo il più impegnativo per me, dovevo ancora capire bene come muovermi e cosa fare, ma nonostante questi inconvenienti è sicuramente quello che mi ha lasciato di più.
L’età dei ragazzi non era molto lontana dalla mia, quindi, entrare nei loro panni e nelle loro difficoltà è stato sicuramente più semplice ma frustrante, perché ricordo bene che spesso c’è ben poco da fare se non si è interessati agli argomenti proposti.
Ma di sicuro in più di qualcuno, azzarderei anche a dire in tutti, nonostante le diverse motivazioni e la diversa partecipazione, ho visto un potenziale che se ben coltivato potrebbe tirare fuori delle grandi menti.
Posso dire che nel complesso quest’esperienza mi sta dando tanto, sia umanamente che professionalmente, sto scoprendo lati del mio carattere che non credevo di avere e sto riscoprendo una passione per il terzo settore che in questi ultimi anni avevo messo da parte.


di Marta Chionchio