Un mese è
ormai passato dal giorno in cui siamo partiti per la nostra grande esperienza,
e crediamo sia giunto il momento di esprimere le nostre prime impressioni in
merito, premettendo che molto abbiamo ancora da imparare e che non si può certo
dire di conoscere un ambiente lavorativo né tanto meno una nuova cultura in un
periodo così breve (soprattutto se si è in un altro continente!).
Noi pensiamo
di avere avuto la possibilità di fare le giuste riflessioni prima di partire,
al corso di formazione che ricordiamo con un sorriso, ciò nonostante una volta
arrivati qui abbiamo da subito iniziato ad affrontare parecchie barriere che
vanno ben al di là della sola difficoltà linguistica iniziale. E con “da
subito” si intende all'uscita dell'aeroporto, quando da bravi turisti ci siamo
fatti immediatamente abbindolare da una persona che ha insistito per aiutarci
chiamando il nostro referente, ovviamente aspettandosi poi un ringraziamento
monetario più che adeguato.
Ma quando ci
si trova in mezzo tutti i giorni si impara in fretta, e anche se siamo ancora
nel pieno della fase di apprendimento, e tendiamo perciò ad osservare più che
ad agire, iniziamo anche a muovere i nostri passi in maniera relativamente
autonoma sia con il personale del Villaggio Fraternité che con i nostri nuovi
concittadini. Questo sempre sotto la supervisione dei nostri preziosi referenti
Avaz in loco, che sono per noi il ponte fra le due culture e società.
Attualmente
la struttura in cui lavoriamo è ben avviata e funzionante, ed è formata da due
ambiti separati (anche fisicamente, diversi edifici), che sono la scuola
materna e la scuola primaria (equivalente delle nostre elementari), per
entrambe è presente l'attività di centro di accoglienza, fulcro di tutto il
progetto.
Il centro di
accoglienza è un'attività riservata ad una parte degli studenti, selezionati
fra quelli con maggiori difficoltà economiche e famigliari, che al termine
delle regolari lezioni scolastiche rimangono presso la struttura per svolgere
ulteriori attività in gruppo, assistiti da personale dedicato. L'idea diventa
quindi anche quella di permettere a bambini di differenti estrazioni sociali di
condividere il quotidiano, la struttura scolastica e le lezioni.
La struttura
del Villaggio Fraternité è situata a poca distanza dalla città di Sangmelima,
lungo una strada in terra battuta che attraversando il fiume Lobo raggiunge i
villaggi sparsi all'interno della fitta foresta. Perciò è presente un servizio
di trasporto, che vanno a servire sia i bambini dei villaggi che quelli della
città.
In un ambito
in cui anche le scuole pubbliche sono a pagamento, e le divise scolastiche
(sempre obbligatorie) sono di norma a carico degli alunni, il Villaggio
Fraternité si pone come elemento di stacco, fornendo non solo le divise, ma
anche una merenda per tutti gli alunni, oltre ad un pasto vero e proprio a
coloro che sono inseriti nel progetto del centro di accoglienza. Inoltre come
già detto è presente un servizio di scuolabus, e sono previste sovvenzioni
economiche per i casi di necessità.
A parte gli
aspetti tecnici, a partire dai primi giorni abbiamo iniziato a riscrivere la
nostra idea di Africa, e soprattutto di “villaggio sperduto nella foresta
tropicale”, e persino di città. E' vero, siamo nel bel mezzo di una enorme
foresta, ed è vero che ci sono molti problemi tra cui le tristemente note
malattie ed il tenore di vita mediamente basso, ma è anche vero che qui c'è
molta vivacità, e alla sera le strade ed i bar, anche quelli dei villaggi, sono
decisamente più animati di quelli a cui siamo abituati. La città poi non ha una
vera e propria piazza, né parchi pubblici o punti di ritrovo distanti dal caos
del traffico sempre presente, ma la gente si ritrova ugualmente per guardare le
partite di calcio nei locali con i maxi schermi, bevendo birra e mangiando
spiedini di carne oppure pesce alla brace (cinese, importato congelato). La
corrente elettrica è presente (anche se non sempre funzionante) in quasi tutti
gli angoli del paese, così come sono presenti i cellulari, e Facebook che è già
arrivato al punto di dare il nome ad un locale della città.
Abbiamo la
fortuna di essere in contatto con diverse persone che possono essere per noi una
chiave di accesso alla vita del posto, e anche se al mercato continuano ad
urlarci “ntang!” (“bianco” nella lingua bulu, la più diffusa della zona), quasi
tutti sanno chi siamo, e quando si fermano a parlarci citano immediatamente il
Villaggio Fraternité, oppure i nostri “fratelli” bianchi che già conoscono.
Questo ci permette di socializzare senza alcuna difficoltà, soprattutto perché
la gente del posto non ci identifica come turisti bianchi, ma come persone che
qui lavorano, e che comunque rimarranno per un periodo prolungato. Certo, i
prezzi per noi tendono sempre ad essere un po' più alti... ma se fossimo in
Italia questo potrebbe essere argomentato come redistribuzione del reddito!