Visualizzazione post con etichetta volontariato. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta volontariato. Mostra tutti i post

giovedì 27 febbraio 2020

Scoiattoli alle noci


C’è un vecchio film in cui il tizio dice alla fanciulla:
“... è strano, lei non sembra essere inibita… allora perché ha pensato di essere fuori posto? Nessuno può dirle qual è il suo posto... dove è il mio posto? Dove è il posto degli altri? Glielo dico io dove è. Dove lei è felice, lì è il suo posto.”

Ecco, posso dire che nella seconda metà del servizio civile, poiché le circostanze hanno fatto sì che l’esperienza procedesse secondo una direzione diversa rispetto a quella con cui era iniziata, mi sono interrogata diverse volte; dapprima per capire quale fosse il “mio posto” a Villaggio Fraternité, in quella piccola città a sud del Camerun (Sangmelima) e poi in generale se quel “posto” potesse essere nel mondo della cooperazione, che tanto mi aveva affascinato.
Per la seconda questione ho pensato di procrastinare momentaneamente la risposta, mentre per la prima ho deciso che la scelta migliore sarebbe stata quella di cercare di adattarsi, di essere flessibile e di trovare una nuova collocazione in quel contesto; ho perciò cominciato a correre (metaforicamente e letteralmente) ovunque ci fosse necessità e a svolgere qualsivoglia compito mi venisse assegnato, cercando di farlo sempre al meglio. 
A Villaggio avrei potuto fare certamente molto di più, ma poiché ho imparato ad essere un po’ meno severa con me stessa, posso dire che va bene così; in generale ho cercato di “profiter”: ho viaggiato “in solitaria” e in gruppo (adottata da dolcissime civiliste di un’altra ONG) e questo mi ha consentito di trarre il meglio sia dalla condivisione con altre persone che dallo star soli; in quest’ultima occasione ho scoperto una nuova sensazione di libertà. Mi sono lasciata trasportare da ciò che la realtà mi proponeva e ad un certo punto ho cominciato ad agire con più leggerezza, io che viaggio da sempre con pesantissime zavorre... e mi sono resa conto di questo piccolo ma grande mutamento che il Camerun aveva prodotto. Questo Camerun amato/odiato in un’altalena emotiva durata un anno.

È finita e come nei film alla fine sullo schermo nero scorrono i titoli di coda e i ringraziamenti alle persone che vi hanno partecipato.
Villaggio: un luogo speciale, una scuola unica e una vera e propria casa per tante persone, adulti e bambini.
La mia famiglia AVAZ a Roma e a Sangmelima. Gli chefs, amici e fratelli prima ancora che guide: hanno ascoltato i miei pensieri confusi e tentato di dare delle risposte; mi hanno sostenuto e supportato in plurime circostanze, mi hanno stimolato e attraverso conversazioni maieutiche mi hanno permesso di tirar fuori pensieri e riflessioni impolverati che per mia natura fanno fatica ad emergere; le loro splendide compagne hanno capito i miei complessi e le mie insicurezze e hanno “lavorato” in silenzio per ridimensionarli.
I miei piccoli coinquilini con cui sono cresciuta anche io, due bimbetti speciali che con abbracci e riflessioni “adulte” mi hanno conquistata (nonostante pianti e sveglie all’alba) e commosso, bussando al mio cuore duro.
Gli amici, alcuni dei quali sono diventati persone di cui mi sono fidata, io, sfiduciata per natura. Mi hanno accolta, integrata, aiutata ed io ho tentato di fare lo stesso nel mio piccolo.
Le mie sorelle: una ex volontaria, un’esplosione di carica, un arcobaleno dopo le piogge torrenziali camerunesi, diventata la complice che mi ha traghettato davvero fino alla fine (accompagnandomi in aeroporto) e una suora speciale, la compagna di viaggio degli ultimi sei mesi dal sorriso aperto e dalle braccia accoglienti, sempre pronta a dispensare consigli e adorabili quotidiane prese in giro. 
Chi si è affacciato sul percorso un po’ per caso, chissà...
Chi ha contribuito a farmi apprezzare questa cultura diversa, a farmi capire che non bisogna arrendersi anche quando tutto suggerirebbe di spegnersi.
Chi rimarrà nonostante le distanze.
A tutti loro va un sincero grazie!

Infine a chi mi chiederà nei prossimi giorni perché non si resta semplicemente in Italia, perché si parte per terre lontane, credo citerò sempre lo stesso vecchio film in cui il solito tizio dice che c’è gente che va al parco a dare noci agli scoiattoli perché farlo le rende felici. Ma alla fine, scoprire che ti rende più felice dare scoiattoli alle noci, va bene lo stesso.

Alessandra


venerdì 4 ottobre 2019

“Smettetela di trattenervi, siete fatti per esplodere” (Cit. Gio Evan)


In questi primi 6 mesi di servizio civile sono entrata a far parte di un mondo nuovo, quello delle ONG, del volontariato e della cooperazione che prima non conoscevo. La formazione di inizio servizio mi è servita tantissimo per inquadrare il mio anno di servizio civile e soprattutto mi ha dato le basi per affacciarmi a questo nuovo mondo. La mia esperienza di servizio civile si sta rivelando come un’esperienza di crescita professionale ma soprattutto personale. Ho imparato a mettermi in gioco, ad avere più fiducia e autostima in me stessa, a lasciare da parte la mia pigrizia e timidezza e ad avere più coraggio in ciò che faccio. Penso che tutto ciò che ho imparato fino ad adesso si rafforzerà tantissimo alla fine del servizio civile sia perché manca ancora molto sia perché già so che nei prossimi mesi ci sarà tanto da fare e avrò tante altre occasioni per mettermi in gioco. In fondo io ho scelto di fare domanda proprio per questo motivo, avevo bisogno di qualcosa che mi facesse tornare la voglia di fare e di mettermi in gioco.
Per quanta riguarda la questione del mettermi in gioco, vi vorrei raccontare di quando quest’anno mi hanno chiesto di testimoniare la mia esperienza durante la Festa della Repubblica ai Fori Imperiali. Che dire! Mai avrei pensato di fare una cosa del genere! E invece che io ci creda o no l’ho fatta. Il 2 Giugno ho rappresentato i volontari del servizio civile universale facendo delle interviste per le diverse tv nazionali in cui ho potuto raccontare la mia esperienza e testimoniare il progetto in cui sono impegnata.  
La cosa che mi stupisce ancora adesso è che quando mi è stato proposto non ci ho pensato neanche un minuto e ho detto subito di sì. Devo ammettere che la mattina del 2 mi sono mandata tanti accidenti perché avevo un po’ di ansia, ma alla fine sono andata bene. Sono stata bravissima, me l’hanno detto in tanti, ma la cosa più importante per me è che io stessa me lo sono detta da sola e continuo a farlo tuttora. Ogni tanto mi concedo anche io una pacca sulla spalla. Per la preparazione delle interviste devo ringraziare Marta che con molta pazienza mi ha aiutato nelle simulazioni, ricordandomi ogni secondo di sorridere e guardare in camera.
La cosa più bella che ho imparato in questi sei mesi è il rapporto con gli altri. Ho iniziato a capirne l'importanza durante la settimana di formazione a Catania e ho continuato a farne tesoro in questi mesi di servizio. Creare dei legami con chi ci sta intorno, solo così possiamo essere felici e vivere bene.

Proprio ieri, dopo un pomeriggio in cui mi sentivo un po’ giù di morale, un messaggio con tanto di video in allegato mi ha fatto rispuntare il sorriso. Era il video dei bambini di Villaggio Fraternité che cantavano l'inno nazionale e il messaggio diceva: "Giusto per farti vivere un po’ la realtà di villaggio". Quando prima ho parlato di creare dei legami è questo che intendevo. È stato bellissimo ricevere quel messaggio perché mi sono sentita, nel mio piccolo, come se fossi lì anche io. Il messaggio mi è stato mandato da Alessandra, anche lei volontaria in servizio civile di Avaz, con la quale mi sono trovata bene fin da subito. Ogni tanto ci scriviamo per aggiornarci e raccontarci le attività che svolgiamo.

Io sono impegnata in un progetto di educazione allo sviluppo che si chiama “IntegrAzione: educare alla pace e alla cittadinanza attiva”. Il progetto prevede attività che si svolgono sia in sede Avaz che fuori, principalmente nelle scuole del III Municipio. Proprio per gli incontri nelle scuole, nei mesi estivi ho lavorato ad un terzo progetto che si chiama “Lo sfruttamento inquina il pianeta”. Lo presenteremo nelle scuole a partire dal mese di Novembre, in cui inizieremo gli incontri anche sul Consumo Critico e sui Diritti Umani.
Un anno fa, proprio in questo periodo, decisi di fare domanda per il servizio civile. Ad oggi sono molto contenta della scelta che ho fatto e penso che tutti, almeno una volta, dovrebbero fare un esperienza del genere.
Questa esperienza si sta rivelando un crescendo di emozioni che voi neanche immaginate.
                                                                                                                         
                                                                                                                       Elisabetta

mercoledì 18 settembre 2019

16 modi di dire…Camerun

Eccomi (déjà) a scrivere l'articolo di metà servizio, durante la pausa estiva nella mia terra natale, in spiaggia, e sulle note delle canzoni ascoltate/ballate in questi mesi e che ho deliberatamente deciso di continuare ad ascoltare sotto l'ombrellone. Le parole, estrapolate dai testi talvolta monotematici e a cui poi ho attribuito un personale significato, risuonano ancora nella mia mente al punto che continuo a canticchiarle e addirittura citarle neanche provenissero dallo Zibaldone. Con questo sottofondo musicale, bizzarramente ispirante, ho deciso così di riportare i pensieri attraverso un indefinito flusso di coscienza e senza una riorganizzazione logica (espressione del caos che ancora vige nella mia testa).

1.Il francese, una delle due lingue ufficiali parlate in Camerun, che ha rappresentato per me una barriera comunicativa e per cui ho provato un po' di frustrazione non parlandolo correntemente, è un tantino migliorato al punto che riesco a carpire frasi di senso compiuto dalle canzoni (le grandi conquiste!);

2.Le barriere personali, che, ahimè (?), mi sono abilmente costruita negli anni per la diffidenza verso questo mondo “brutto sporco e cattivo", sono state abbattute in maniera parziale e mooolto lenta. Tuttavia, penso di averne costruite altre per schermare gli immancabili pensieri negativi affacciatisi di tanto in tanto nei momenti di difficoltà, e la melma che inevitabilmente anche gli altri possono spalmarti addosso;

3. Sangmélima, paese a sud del Camerun in cui vivo da po' di mesi a questa parte, in fondo, non è poi così diversa dalla città in cui ho abitato per anni… non solo per le strade dissestate, per la dimensione di paese in cui tutti sembrano conoscere le storie di tutti (come me in questo momento con il mio vicino di ombrellone) ma anche per la corruzione, che qui in Camerun ha certamente un retrogusto più intenso e rappresenta una delle ragioni che ne impedisce lo sviluppo e la crescita economica;

4.Lo spaesamento e la confusione: quella che sto provando qui al rientro in Italia, quella provata non appena atterrata in Camerun in aeroporto a Yaoundé, quella iniziale all'interno del progetto e infine quella immancabile nella testa e nel cuore;

5.Le persone incontrate... gli infaticabili ammiratori di una “bianca” a caso che lo stereotipo e il retaggio culturale, ahimè, vede ancora così desiderabile e la conseguente difficoltà nel discernere l'interesse “disinteressato” da quello “reale”; i volontari giapponesi, francesi, americani che hanno reso l'esperienza più “internazionale”; gli amici camerunesi che hanno tentato di integrarmi;

6.La foresta equatoriale… i paesaggi attraversati, gli skyline bucolici durante i tramonti caldi e fugaci, le lucciole fuori casa che di sera si accendono e le stelle in alto che illuminano Villaggio nel buio avvolgente;

7.Villaggio Fraternité… un progetto attivo da molteplici anni, una scuola materna e primaria con un centro di accoglienza per i bambini socialmente più vulnerabili…i bambini appunto... l'affetto incondizionato dei più piccoli che consentono un inizio di giornata sempre con un grande sorriso dal retrogusto talvolta amaro; i dipendenti di cui finalmente conosci tutti i nomi e il progetto che funziona così bene al punto da chiederti cosa altro si può fare per perfezionarlo ancora;

8.E poi ancora… la corrente che salta puntualmente quando hai deciso di caricare il telefono;

9.Le moustiques e l'antizanzare, divenuto l'immancabile prodotto da borsetta;

10.La danza e il ritmo africano, i tabù infranti (i miei e quelli della società in cui ti trovi);

11.Il disfacimento delle proprie sicurezze, il mettersi in discussione ogni giorno, il grado di tolleranza innalzatosi di un bel po';

12. Le mancanze, non quelle fasulle, dettate dalla distanza e dalla solitudine ma quelle profonde... di pochi ovviamente. La difficoltà nel partecipare da lontano ai cambiamenti che sono avvenuti nel corso di questi mesi ai tuoi cari, a cui ho assistito apparentemente inerme;

13.Quelle fatidiche e lecitissime domande “come è?” “come ti trovi?” o le più terribili “ ma chi te lo fa fare?!" ecc. ecc. Rispondere mi sembra a tratti faticoso, perché fornire un quadro fedele alla realtà vissuta, non è facile e soprattutto occorre che a tali domande debba rispondere prima io che sto rimettendo insieme i pezzi e tentando di fare un bilancio dei miei primi 6 mesi;









14.I "ça va aller" dedicati in momenti di disagio, che all'inizio detestavo poiché mi sembrava sollevassero l’interlocutore dalla possibilità di donarti conforto con altre parole... E che poi, cogliendone meglio il senso, ho imparato ad apprezzare;

15.La vicinanza emotiva (e anche fisica dati i pochi meridiani che ci separano) di colleghi in servizio civile che il caso ha voluto facessero la stessa esperienza altrove;

16. Gli appellativi urlati per strada mentre passeggi nella tua pelle (la blanche, la wat o mtangan nella lingua locale: il bulu), il fastidio provato nonostante l’accezione diversa di questi ultimi rispetto a quelli proferiti in occidente verso "lo straniero" che aborri con motivato sdegno... e il pensiero che il linguaggio e la parola, privilegi esclusivamente umani, possano ferire cosi tanto. E ancora… quanto i pregiudizi siano (ahimè bidirezionalmente) duri a morire... e la consapevolezza che quella splendida "diversità", che risiede soltanto nello 0.1% dei geni di cui disponiamo (essendo il genere umano per il restante 99.9% geneticamente uguale), è stata resa dalla storia non una ricchezza ma quasi un disvalore.

Insomma... tipici pensieri da spiaggia che ricorrono ascoltando simpatiche canzoncine. Il tempo per metabolizzare il tutto non è sufficiente, perché presto si ritornerà lì e poi in fondo… perché farlo ora?! l'esperienza non è ancora finita! Così, mentre mangio l'ennesimo gelato triplo cioccolato che tanto mi è mancato, scrutando l’orizzonte, mi accorgo che quello che vedo in lontananza, nella foschia, non è il Gargano ma ancora il (mio) Camerun.

Arrivo!!!

Alessandra




venerdì 3 maggio 2019

La scelta di Arianna

A giugno 2018 ho terminato l’ultimo anno di liceo classico e mi sono trovata davanti ad un grande bivio: scegliere una facoltà ad esclusione oppure cercare un’esperienza lavorativa che potesse aiutarmi a capire e scoprire qualcosa in più di me stessa fuori dalla mia “comfort zone”.
Ho deciso così, durante l’estate, di cercare un progetto di volontariato in campo educativo o ambientale ed ho iniziato a mandare svariate candidature per progetti di Servizio Volontario Europeo (in Europa).
Tra le varie ricerche ho incontrato anche la possibilità del Servizio Civile Nazionale all’estero e, oltre alle candidature in ambito europeo, ho fatto domanda per un progetto in Madagascar non essendo richiesta nessuna competenza specifica, a parte la lingua francese.
Mi sono presentata poche settimane dopo nella sede della ONG di riferimento e non avendo io alcuna aspettativa a riguardo, ho messo in chiaro che probabilmente non ero la figura adatta a coprire il ruolo ricercato. Si era così chiuso per me il capitolo del Servizio Civile senza alcun rimorso.

E quindi come sono arrivata a fare parte di un progetto di Servizio Civile in Cameroun?!
Effettivamente tre mesi dopo la mia candidatura al servizio civile nessun bando SVE mi aveva richiamata: avevo cominciato a fare qualche lavoretto saltuario, mi ero avvicinata ad alcuni progetti nel sociale con gruppi di giovani di Bologna e stavo pensando di intraprendere a settembre 2019 un percorso universitario, insomma mi ero ricreata un nuovo quotidiano, anche se non era andata via la speranza di partire per un’esperienza all’estero.
Ero quindi in attesa dell’arrivo di un'esperienza ma non sapevo bene come orientarmi per trovarla.

Durante un breve soggiorno fuori casa, in un momento inaspettato, mi è arrivata una chiamata da un numero sconosciuto con il prefisso di Roma. Ho deciso, come di norma faccio, di richiamare il numero e la voce che mi ha risposto era quella di Monica, la responsabile di Servizio Civile per AVAZ, una ONG romana a me ignota, che mi chiedeva se ero disposta a partire e lasciare la mia quotidianità, i miei punti di riferimento le mie certezze e incertezze da ventenne, per imbarcarmi in una nuova avventura in terra africana.
Sono rimasta un po’ scossa sul momento: non era assolutamente nei miei piani di andare a vivere per un lungo anno in un posto tanto lontano e quindi ho chiesto a Monica qualche giorno per pensare alla proposta.
Sono andata subito a vedere cosa fosse Villaggio Fraternité e ho trovato il video delle ex-civiliste sul loro servizio civile che mi ha trasmesso una energia talmente positiva da farmi salire un sorriso naturale, facendomi immedesimare in quel posto del mondo che fino a venti minuti prima non sapevo neanche dove si collocasse.

Ho preso la decisione da sola, senza né la pressione né il supporto dei miei affetti e tuttora penso che ciò sia stato decisivo per la mia partenza.
La sera stessa, pensando e ripensando alla proposta, mi è salito un nodo tra la pancia e la gola, non so se dovuto più alla paura o più all’adrenalina che si era messa a circolare nel mio corpo dal momento della telefonata.
Ancora incredula, nell’etichetta della Yogy-tisana mi è apparsa una saggia frase  “Let things come to you” e un altro brivido mi è salito sulla schiena procurandomi un secondo sorriso.
A quel punto non ho atteso troppo e d’impulso ho scritto a Monica che ci saremmo risentite il giorno dopo ringraziandola per essere apparsa sul mio cammino.

Penso che potrei descrivere tutti i pensieri che mi sono passati velocemente in mente quella sera, che soprattutto resteranno impressi nella mia memoria, perché son stati talmente forti da portarmi a fare questa scelta radicale.
Con tantissima paura ho deciso di prendere questo treno che mi è passato un po’ all’impazzata e un po’ imprevedibilmente, ma che credo mi farà capire, con esperienze positive e negative, molte cose.
I vent’anni sono una fase difficile della persona, ancora non si sa niente del mondo e della vita e si ha questa carica immensa di energia che è difficile canalizzare. Sono anni di semina quanto di scoperta, di sondaggio del terreno fertile e di quello arido, con la speranza che i pochi strumenti acquisiti possano essere quelli giusti per discernere cosa è bene e cosa lo è meno.
Un augurio voglio fare all’Arianna che ritornerà dal suo anno africano: "Sappi apprezzare sempre ciò che hai, in qualsiasi parte del mondo tu sia, perché vorrà dire che saprai amare te stessa e questo ti darà il giusto gusto per apprezzare la Tua libertà".

Arianna Pedone

martedì 9 aprile 2019

La vigilia della partenza di Icaro

Sono all'inizio di un percorso: sono al tempo stesso emozionato e incuriosito all'idea di andare in un continente dove non sono mai stato, di capire e conoscere le usanze, lo stile e il modo di vivere di un popolo che immagino abbastanza diverso da quello a cui sono abituato.
Mi presento: mi chiamo Icaro Becherelli e sono nato il 07/03/1990 in Brasile.
Io non ricordo molto della mia infanzia ma sono stato molto fortunato. La mia famiglia mi ha dato gli strumenti per scegliere e mi ha lasciato libero, sia che si trattasse di decidere che sport fare sia a quale religione appartenere. Nello stesso tempo, attraverso le esperienze che mi hanno fatto vivere, ho cominciato a capire quello che è giusto e quello che è sbagliato, valorizzando il mio punto di vista.
Indubbiamente, le scelte che una persona fa sono molto condizionate dal tipo di società in cui vive, da quello che la comunità offre e dall'ambiente che frequenta.
Il mio desiderio più grande è quello di contribuire ad una società che possa formare le nuove generazioni attraverso strumenti culturali, aiutandole ad avere un “pensiero libero”, libero di scegliere cosa vogliono davvero e di capire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Secondo me è questo uno dei modi per far crescere le nuove generazioni con la consapevolezza di poter avere un futuro migliore.
Penso che l’Africa sia uno dei continenti più belli al mondo, anche se molti paesi hanno approfittato delle sue ricchezze attraverso le colonie e deportando in massa milioni di giovani rendendoli schiavi, impedendo uno sviluppo naturale di tutto il continente.
Da parte mia penso che svolgere attività di supporto, ai bambini, in un paese che ha sofferto così tanto possa essere una buona cosa e io la farò non solo applicando le competenze che ho maturato in oltre dieci anni in villaggi turistici in tutta Italia ma prevalentemente con il cuore.
Voglio essere sincero: io non sono un persona utopista che crede nella “pace del mondo” ma penso che se tutti noi dedicassimo una piccola parte del proprio tempo ad aiutare chi ha più bisogno vivremmo tutti meglio.
Non sottovaluto comunque le difficoltà che potrebbero nascere in questa mia esperienza: i primi tempi non sarà cosi facile integrami con il nuovo ambiente (non conosco la lingua, non ho mai vissuto in un clima tropicale e, non ultimo, il medico che mi ha fatto i vaccini mi ha presentato una situazione sanitaria difficile per un europeo). Inoltre, dovrò imparare a relazionarmi con un popolo con differenti tradizioni e usanze.
Quello con cui parto è tanto entusiasmo e la voglia di trasmettere la mia gioia di vivere e, perché no, la mia spensieratezza.
Non vedo l'ora di iniziare questa avventura: come dice una delle mie citazioni preferite “un lungo cammino, inizia sempre con un piccolo passo”.
Icaro Becherelli

martedì 2 aprile 2019

Alessandra racconta perché ha scelto di fare il Servizio Civile

Da anni pensavo alla possibilità di fare Servizio Civile all’estero, in particolare in Africa, e da altrettanti anni cercavo di mettere a tacere questa voce, dando spazio all’altra voce, quella più razionale che invece mi esortava a proseguire su sentieri battuti.
Malgrado non fosse la mia ambizione primaria, per diverse ragioni avevo deciso che l’ambito della ricerca (più consueto per una biologa), dovesse essere la strada più "giusta” rispetto a quella della cooperazione internazionale, che al contrario mi affascinava molto (e che un’esperienza come il servizio civile mi avrebbe consentito di conoscere da vicino, almeno per un anno). Avevo inoltre deciso di relegare ad un piccolo spazio della mia vita (il tempo libero per intenderci), l’attività del volontariato e più in generale lo spendersi per una giusta causa che invece mi aveva regalato tanti sorrisi.

Questa continua dicotomia interiore mi ha corroso per anni (e non poco), ma col senno di poi credo sia stata imprescindibile e in qualche modo propedeutica. Ho ripensato ai  momenti di felicità, a ciò che mi aveva fatto pulsare cuore, cervello e pancia, “sbrilluccicare” gli occhi e alle situazioni in cui le cose intorno a me si erano fermate per un attimo e aveva cominciato a risuonare nella mia testa quella canzone…
“Home - is where I want to be
But I guess I'm already there
[… ] Guess that this must be the place”
..tutti quei momenti erano legati all’attività di volontario (in Italia o all’estero) e quindi alla causa per cui stavo impiegando il mio tempo e le mie risorse e a ciò che era indissolubilmente legato a me. È allora che mi son detta che, dopo aver consultato un bravo psichiatra per via di quella canzoncina nella mia testa (scherzo!), avrei dovuto darmi l’opportunità di ripescare queste sensazioni e tutto ciò che aveva attivato il mio sistema emozionale e cognitivo e che semplicemente mi aveva fatto sentire viva.

Dopo una attenta ricerca per la scelta del progetto per cui fare domanda, ho ristretto il campo ad un paio di ONG ed infine sono approdata ad AVAZ a cui ho consegnato la domanda di servizio civile personalmente. Ho conosciuto parte dei responsabili, mi sono lasciata contagiare dalla loro genuinità ed affascinare dalla dimensione seria e familiare di una ONG attiva con grande impegno da circa 30 anni...  e non ho potuto fare a meno di (ri)pensare “this must be the place”.

Si sono poi succeduti: il colloquio (che google maps mi avrebbe fatto svolgere nella bottega solidale di AVAZ), la graduatoria (evvaiiii, sono dentro!) e il corso di formazione pre-partenza nel polo di Catania. Quest’ultimo ha rappresentato l’occasione di conoscere ragazze e ragazzi con tante storie e tanto coraggio, di incontrare casualmente (o causalmente) “affinità elettive” e di conoscere formatori (ma prima di tutto anime belle) dotati di grinta e competenze. Tutto questo mi ha trasmesso molta carica e mi ha permesso di riascoltare la stessa canzoncina nella mia testa... e soprattutto mi ha fatto pensare a quanto sia giusta quella frase che dice “la caverna in cui temi di entrare contiene il tesoro che cerchi”, al pericolo nel rimanere fermi, al coraggio delle scelte, alla forza dell’azione.

E... se il tempo non portasse via con sé anche elasticità e turgore della pelle, credo proprio che mi tatuerei sulla schiena e a caratteri cubitali qualche frase:
“Scegli il coraggio oltre il comfort.
Scegli cuori aperti invece di armature.
E scegli la grande avventura di essere coraggioso e impaurito. Allo stesso tempo” (Brené Brown).

Alessandra Adduci

martedì 26 marzo 2019

Elisabetta racconta perché ha scelto di fare il servizio civile


Mi chiamo Elisabetta, ho 21 anni e sono nata e cresciuta a Roma. Studio Lingue e Culture Straniere, in particolare spagnolo e francese. Ho iniziato ad appassionarmi alle lingue quando andavo alle medie perché ho iniziato a studiare spagnolo. Lo spagnolo occupa una parte molto importante nella mia vita, sia perché i miei studi dopo la scuola media sono stati scelti in funzione di questa lingua, sia perché è in parte causa di un momento di crisi che mi ha portato poi a scegliere di presentare domanda per il Servizio Civile.

Nell’estate 2017 ho dato il mio primo esame di spagnolo all’università, ma purtroppo sono stata bocciata. Questo ha scaturito in me molti pensieri negativi, dettati soprattutto dall’insicurezza, che mi hanno bloccato per un anno intero. Un anno in cui mi sono sentita persa, in cui non sapevo bene cosa fare o dove andare. Non ero motivata, ma sentivo il bisogno di impegnarmi in un qualcosa che mi facesse stare bene, che mi aiutasse ad uscire dal groviglio di negatività in cui ero entrata. Così a Settembre ho deciso di fare domanda per il Servizio Civile con l’obiettivo di impegnarmi in un progetto che mi desse tante emozioni e per iniziare a sciogliere il groviglio che avevo dentro.

Sono venuta a conoscenza del progetto di Avaz tramite i miei genitori perché conoscono alcuni volontari dell’associazione. Il progetto di Educazione allo Sviluppo mi ha incuriosito fin da subito perché mi ha un po’ ricordato quello che facevo nella mia parrocchia come educatrice di Azione Cattolica. La scelta di fare domanda per il Servizio Civile unita a quella di iniziare una terapia dalla psicologa, sono stati i primi passi che ho mosso verso me stessa.

Devo ammettere che ero molto preoccupata quando sono partita per la formazione generale per il Servizio Civile che si è tenuta a Catania, sia perché non avevo una preparazione sulle ONG e sulla Cooperazione, sia perché sono timida e faccio fatica a relazionarmi con gli altri. Ho iniziato la settimana con la voglia di piangere per la paura e l’ho finita allo stesso modo perché non volevo finisse così presto. È stata una settimana piena di emozioni, ho imparato cose nuove e soprattutto mi sono messa in gioco. Ero l’unica della mia ONG e questo mi spaventava. Per fortuna ho conosciuto delle persone fantastiche che mi hanno accolto facendomi sentire a casa. Ho scoperto quanto sia importante creare dei legami con chi ci sta intorno perché solo così possiamo essere sereni e vivere bene. Esco da questa settimana di formazione piena di energia.

Da quest’anno mi aspetto di ricevere tante emozioni. Sarà un anno in cui metterò tutta l’energia ricevuta dalla settimana di formazione e spero solamente di svolgere a pieno il mio ruolo.
Qual è il mio ruolo? Io sono una volontaria e come volontaria ho il compito di creare una rete di tessitori, una rete di persone che come dei fili s’intrecciano tra di loro dando vita a un qualcosa di unico, colorato e forte, tanto forte.

Elisabetta De Angelis

giovedì 13 dicembre 2018

L'impegno


La seconda metà del mio Servizio Civile è stata nettamente diversa rispetto alla prima.
Ho affrontato una nuova sfida: PROGETTARE.
A differenza del lavoro in classe, con un percorso già fatto, collaudato e ben avviato, pensare a un nuovo percorso didattico da zero è stata davvero un’avventura.
Un lavoro che inizialmente è abbastanza arido, si cerca materiale, si verificano notizie, dati, fonti ufficiali e la sensazione è quella di non riuscire mai a finire qualcosa fino in fondo.

Bisogna pensare a un tema da presentare ai ragazzi, che molto spesso è ampio e complicato, cercare di “incastrarlo” in un format di poche ore trovando il modo di renderlo leggero, immediato, semplice e fruibile per ogni fascia d’età .
E lo dice una persona che in un articolo per un blog scrive “fruibile” … quindi si può ben immaginare la sfida!
Ho valutato e abbozzato diversi progetti, dallo sviluppo sostenibile alla storia dell’immigrazione ma alla fine la scelta è ricaduta sui Diritti Umani, in particolare sul diritto all’istruzione e il diritto allo svago.
Mi piaceva l’idea di proporre questi diritti complementari e di parlarne in classe, volevo che i ragazzi si immedesimassero, capire la loro realtà per non darla mai per scontata per poi portarli ad ampliare il loro campo visivo sul mondo.

Bene. Quindi una volta riusciti ad individuare l’argomento principale si preparano le slide, i video, le immagini, si scrivono le scalette dei vari incontri ed è fatta, no?
Eh no.
L’arrivo del nuovo anno scolastico, quindi della realizzazione del nuovo progetto, è probabilmente il momento in cui mi sono sentita più insicura e preoccupata di tutto il mio anno da civilista.
Il momento in cui ti metti davvero alla prova con qualcosa di tuo, che ti appartiene, che viene dalla tua esperienza e dalla tua vita.
Il momento in cui si scopre se quello che hai pensato e scritto su un foglio di carta funziona nella vita reale, se i ragazzi reagiranno proprio come tu hai pensato che avrebbero reagito, se il messaggio che volevi passare viene percepito bene.


Mille domande e mille interrogativi che devono trovare una risposta.
Troppo melodrammatica?
Si, decisamente, anche perché alla fine il progetto è andato bene.
Ma è questo quello che provato durante quell’ora sulla metro e quei pochi minuti prima di entrare a scuola.

Non sono mai stata sola, sono sempre stata aiutata e affiancata dalle persone che hanno lavorato con me in questo anno e in questa fase, devo e voglio riconoscerlo perché è anche merito loro se sono riuscita a portare a termine il mio Servizio Civile con entusiasmo.

Le mie conclusioni.
Quest’anno è stato uno degli anni più impegnativi che io abbia mai passato, sono cresciuta sia professionalmente che umanamente.
Ho imparato tante cose ma soprattutto ho riscoperto una parte di me che avevo sepolto a causa dei miei impegni personali.
L’impegno per il sociale, dedicare il proprio tempo per il bene di qualcun altro, i ragazzi a cui ho cercato di trasmettere dei valori combattendo per abbattere un muro di cinismo che purtroppo vedo comparire troppo presto.
Tutto questo fa parte di me e spero di continuare a coltivarlo nella mia vita, con l’impegno e la dedizione di quest’anno appena passato.


                                                                                                                              Marta Chionchio

martedì 27 novembre 2018

La missione

Se pensate di partire ed essere dei turisti che si mettono ad esplorare il paese o dei volontari che devono fare solo per dare agli altri, vi state sbagliando alla grande!
Se pensate di partire per andare a salvare il mondo perché state andando in Africa tra i poveri o perché potete aiutare quelli meno fortunati di voi, anche qui non fate che sbagliarvi.
Se soprattutto pensate di partire pieni di aspettative o con la certezza di trovare risposte alle tante domande che vi ponete o ancora volete andare a realizzare i vostri sogni, siete sempre nella direzione sbagliata.
Il servizio civile è semplicemente l’occasione di vivere dodici mesi di vita in una realtà totalmente diversa, ma sono dodici mesi della TUA vita che fanno la differenza se vissuti a cuore aperto.
Sono partita ed arrivata in terra africana con l'entusiasmo di 'voler fare missione'. Giorno dopo giorno sono poi però iniziate le difficoltà. Subito ho abbandonato l'idea di 'voler fare missione' iniziando a vivere semplicemente come facevo in Italia. Negli ostacoli e nei pianti, nelle sorprese e nell'Amore ho poi capito che non dovevo solo concentrarmi sul 'voler fare' ma piuttosto fare quello che sentivo e lasciare che la missione mi plasmasse.

Passo dopo passo, anche se lentamente, ho iniziato a scoprire e conoscere, incontrare gli altri e rincontrare me stessa. Passo dopo passo ho sentito come il Signore mi sia sempre stato accanto e come ogni giorno mi dia le forze per vivere al meglio questa avventura che è la vita.
Ho capito che il mio 'voler fare missione' non era altro che puro egoismo per ricevere in cambio riconoscenza; ma il Signore vede ciò che facciamo senza che qualcuno debba mostrarci ogni volta gratitudine. Ho capito che il mio 'voler fare missione' non era altro che l'entusiasmo del partire e andare verso l'Altro, senza offrire all'Altro, davanti a me e diverso da me, l'opportunità di venirmi incontro. Ho capito che il mio 'voler fare missione' era vero e sentito, ma anche un po' sporco perché pieno di 'voglio'.
Ed è stato negli abbracci profondi con le persone, nei sorrisi grandi e negli occhi vivi e illuminati dei bambini, nelle mani che non ti lasciano, nei piedi che camminano al tuo fianco, che ho trovato il vero ossigeno del cuore della foresta equatoriale.
Un’aria diversa che ti fa battere il cuore quando vedi gli occhi di un bambino felici di tornare a scuola per rivederti e correrti incontro scendendo dallo scuola-bus e abbracciarti, per ricominciare assieme il Centro d’Accoglienza e poter giocare e ridere con Tata Ilaria.
Ti fa battere il cuore quando, nonostante la difficoltà di due metodi educativi e due modi di pensare differenti, riesci a trovare un punto d’incontro con gli educatori di Villaggio Fraternité e assieme a dar vita a qualcosa di nuovo e specifico per undici bambini di uno o due anni.
Un’aria diversa che ti fa battere il cuore quando i pianti dei piccoli della pre-maternelle si trasformano in sorrisi e gioia di voler stringerti la mano per camminare al tuo fianco; quando cantano contenti le canzoncine per andare in classe, quando si buttano tra le tue braccia urlando “NTOOO” (che nella lingua locale, il Bulu, significa “abbraccio”) o ancora quando imparano a dire “presente”, a chiedere “per favore” e dire “grazie”. 
Ancora, quando vedi qualcuno star molto male e con una semplice visita a casa e stringendole la mano riesci a donarle un sorriso e la forza per riprendersi.
Ti fa battere il cuore quando i bambini del Centro d’Accoglienza ti chiedono se il laboratorio di scrittura creativa ricomincia anche quest’anno e se arriverà presto il libro che hanno creato.
Un’aria diversa quando sperimenti sulla tua pelle la grandezza della Fede che va al di là delle diversità religiose e apre le braccia a tutti indistintamente, che fa incontrare cristianesimo e islam in un unico grande amore, testimoniando come questo sia unico immenso dono di Dio, superando ogni pregiudizio. 
E allora, non c'è gioia più grande, non c'è sorriso più vero, non c'è amore più reale di quello di aver capito che non bisogna voler 'fare missione' perché la missione si fa da sé, perché la missione si vive, perché è la missione che fa la persona.
Ilaria Tinelli

lunedì 26 novembre 2018

La scelta

Un anno fa ho deciso di rivoluzionare la mia vita e di mettere tutto in gioco, la mia stabilità lavorativa e sentimentale, per partire, per vivere questa esperienza di Servizio Civile. Ora, un anno dopo, mi trovo davanti a un foglio bianco per fare il bilancio di questa mia scelta. Non penso di riuscire a raccontare a parole o scrivendo tutto quello che questo anno mi ha dato, penso che sia un tipo di esperienza che vada vissuta per essere davvero capita.
Sono a casa da una settimana, forse ancora troppo poco per riuscire a capire davvero quanto questo anno in Cameroun, a Sangmelima, mi abbia profondamente cambiata. È ancora tutto così fresco e così vicino.

Mi sembra ancora di sentire le voci dei bambini che arrivano a scuola e mi svegliano al mattino o il rumore delle tazze, mentre la mia compagna di avventura Francesca ci prepara la colazione.
E invece no, è davvero tutto finito. Il mio nuovo mondo, che mi ero creata lontano da casa, non c’è più e ancora una volta bisogna ricominciare nel grigio di Milano, con i colori e il calore della terra africana che ho tanto amato, ormai solo nei miei ricordi.
Quello che ad oggi posso affermare con certezza è che rifarei ancora mille volte la scelta di partire. In questo anno mi sono riscoperta, ho imparato a lavorare con i bambini e ad amarli.
Sono proprio loro che, con la loro ingenuità e il loro affetto, non mi hanno fatto mancare i legami che avevo a casa.
Ho conosciuto una nuova cultura e questo arricchisce sempre. Non è stato facile relazionarsi, ma anche questo mi ha fatto crescere, capire come relazionarmi con le persone e a che livello concedere la mia fiducia. 

Ho imparato ad apprezzare i ritmi di vita africani e ad adattarmi alla loro tranquillità e leggerezza con cui prendere la vita. “Villaggio Fraternité” è stata la mia casa in questo anno e una parte di me e del mio cuore credo resterà lì.
Voglio approfittare di questo articolo e ringraziare tutti: lo staff locale, i bambini, i miei Chefs e le mie compagne di avventura perché senza di loro non sarebbe stato lo stesso.
Si parte con tante aspettative, con la voglia di lasciare il segno e, almeno nel mio caso, si torna con molta umiltà.
Non so se ho lasciato qualcosa e se i miei bimbi si ricorderanno di me crescendo, quello che però posso dire è che questa esperienza a me ha lasciato tanto.
Ora è tempo di ricominciare, ma voglio partire proprio da qui, provare a restare nel mondo della cooperazione internazionale e continuare a crescere con nuovi progetti.

Jessica Valerani

venerdì 23 novembre 2018

Il coraggio


Se i primi sei mesi di Servizio Civile è stato faticoso e difficile adattarsi, gli ultimi sei si sono susseguiti uno dopo l’altro senza che nemmeno me ne rendessi conto. Le due settimane trascorse in Italia durante il rientro di metà servizio mi sono servite per fare una sorta di bilancio della prima parte della mia esperienza. Sono quindi tornata a giugno carica e pronta a mettermi in gioco ancora di più, spinta da quella sensazione di aver lasciato indietro delle cose, e che quella sarebbe stata l’ultima opportunità per farle. Per raccontarle tutte non basterebbe un articolo.

Concludo il mio servizio Civile con la consapevolezza che forse non avrò lasciato una grande impronta a livello progettuale, ma so di averla lasciata nel cuore di alcuni. Di Giovanni, che adesso viene a cercare la sua maestra d’inglese dicendomi “Tata, Tata, Sono arrivato primo della classe!”; di Flora, che nonostante sia già al liceo, ogni volta che vado a portarle un libro mi saluta con un dolcissimo abbraccio; di Ma’a Marie , che mi vuole bene come se fossi sua nipote; di Bernadette e Benjamain, che ogni volta che vado a far loro visita hanno sempre un piatto pronto per me. So che tutti loro e altri, si ricorderanno sempre di Tata Francesca. Ma ciò di cui non si rendono conto è di quanto loro hanno trasmesso a me e che per questo li ringrazierò per sempre. Mi porterò sempre nel cuore quello che mi hanno insegnato, per esempio a vivere la vita con più leggerezza e coraggio.

Ho anche acquisito un’altra consapevolezza, ovvero che il Cameroun è un paese che ha compreso quanto l’educazione sia importante per crescere un popolo in grado svilupparsi. C’è ancora molto lavoro da fare in questo senso e Villaggio Fraternité, in una piccola comunità come quella di Sangmelima, rende possibile a dei bambini, che altrimenti non ne avrebbero la possibilità, di diventare dei giovani intelligenti e responsabili. Sono orgogliosa di aver dato il mio contributo, anche se minimo, a questo progetto.


Negli ultimi giorni a Villaggio mi sono sentita avvolta da un forte sentimento di nostalgia. Mi sono resa conto che non vedrò i bimbi della materna passare dalla divisa rossa a quella blu della primaria, non andrò più a fare la spesa al mercato di Sangmelima, non sarò più in ufficio pronta a dare una matita a chi ha già finito la propria e non vedrò più il prugno davanti casa carico di frutti. Villaggio Fraternité e Sangmelima sono state la mia famiglia e la mia casa in quest’ultimo anno e mi rattrista molto dover salutare quella che ormai era diventata la mia quotidianità.



 Spero che il mio saluto sia soltanto un “arrivederci, a presto”  e che di tanto in tanto avrò l’opportunità di passare a Villaggio e vedere come i bambini e i girasoli siano cresciuti e sentirmi fiera di ciò.

Francesca Bucaletti

martedì 31 luglio 2018

A Villaggio Fraternité si coltiva-di Ilaria Tinelli


A Villaggio Fraternité si coltiva: Coltiviamo i diritti dei bambini!
Coltiviamo i loro diritti offrendogli l’opportunità di poter frequentare la scuola e crescere, di far maturare i frutti di una buona formazione proveniente dalla preparazione che i nostri insegnanti e nostri educatori quotidianamente gli trasmettono.
Coltiviamo i loro diritti perché ogni bambino del Centro d’Accoglienza viene sostenuto in quanto persona umana, garantendo le spese mediche e quelle scolastiche, il supporto pomeridiano nello svolgimento dei compiti e un pasto quotidiano. Ci prendiamo cura degli “ultimi”, di quei bambini che si trovano a vivere in famiglie con difficoltà economiche, che sono orfani e che hanno degli handicap.

A Villaggio Fraternité si coltiva: coltiviamo i legami interpersonali!
Coltiviamo i legami di amicizia che, piano piano, iniziano a germogliare e a portare colore laddove la terra, nonostante sia nel cuore della foresta equatoriale, non è sempre fertile. Quelli con i bambini, con i colleghi, con il popolo camerunese per riuscire, nutriti dallo stesso “fertilizzante d’amore”, a sbocciare vicini per colorare questa terra e renderla più vivace perché, solo uniti, possiamo far diventare incantevole il mondo in cui viviamo.
A Villaggio Fraternité si coltiva: coltiviamo frutti ed ortaggi!
Coltiviamo papaye e guaiave, ananas e platani, avocado e manghi per portare un po’ di dolcezza nella vita di chi, quotidianamente, mette piede a Villaggio, ma anche in quella di chi, al mercato, decide di comprare i nostri prodotti.
Coltiviamo i folong che, da piccoli semi che erano, abbiamo visto crescere giorno dopo giorno annaffiandoli, piante di cui ci siamo prese cura lavorando la terra, potandoli, nutrendoli ancora e cogliendoli per poi cucinarli e servirli nei piatti dei nostri bambini.


A Villaggio Fraternité si coltiva: coltiviamo la nostra crescita personale!
Coltiviamo la nostra crescita mettendoci in gioco anche quando le nostre proposte vengono rifiutate, continuando la partita senza scoraggiarci dal goal subito e giocando in attacco.
Coltiviamo la nostra crescita personale perché ci confrontiamo con i nostri difetti, cercando di migliorarli e, perché no, con i nostri pregi, valorizzandoli.
Coltiviamo la nostra crescita personale quando, dall’amore donato ai nostri bambini durante l’anno scolastico, ne riceviamo in cambio uno più grande, venendo così rivestiti da una grande gioia, frutto della relazione di affetto creatasi.
A Villaggio Fraternité si coltiva: coltiviamo la bellezza di vivere!
Coltiviamo e apprezziamo giorno dopo giorno, tramonto dopo tramonto, abbraccio dopo abbraccio, il fascino della vita, quel respiro puro, quella boccata d’ossigeno che tanto desideravo trovare all’inizio del mio anno di Servizio Civile.
Coltiviamo la bellezza della vita con ogni sua sfumatura, negativa o positiva che sia, in ogni sorpresa che ci offre e che mai ci saremmo aspettati perché è soltanto quando ci sentiamo pieni dell’amore vero che la vita ci sorride ogni giorno.



Ilaria Tinelli

giovedì 24 maggio 2018

Francesca racconta i suoi primi sei mesi a Villaggio Fraternité-di Francesca Bucaletti

È metà maggio, e tra qualche settimana scadrà il mio visto di sei mesi per vivere in Cameroun. Questo vuol dire che sono già a metà della mia esperienza di servizio civile. Ricordo perfettamente la spaesatezza e la confusione con cui osservavo la silhouette della foresta equatoriale fuori dal finestrino durante il tragitto Yaoundé -Sangmelima il giorno del mio arrivo. Quella è stata una delle prime occasioni in cui mi sono detta “Fra, sei in Africa”. 
Arrivata a Villaggio Fraternité, di sera, le cicale mi hanno fatta sentire un po’ come a casa mia d’estate. Un’altra cosa che Villaggio ha in comune con casa mia in Toscana è il fatto di trovarsi a qualche chilometro dal centro città. Siamo immersi nel verde e lontani dal brusio della ville. 
Nonostante le somiglianze con il mio paesino natale, ce ne ho messo di tempo per adattarmi! 

I primi due mesi mi sentivo un po’ persa, sia nei confronti del mio ruolo nel progetto, sia nella quotidianità. Ma non ho mai pensato di aver fatto la scelta sbagliata e di voler tornare indietro. Infatti col tempo e la voglia di fare ho trovato la mia dimensione e adesso mi sento a mio agio con il contesto e con me stessa. 
Per questo devo ringraziare i sorrisi dei bambini, i consigli dei miei “Chefs” Flavio Valerio e Michele e le parole di conforto scambiate con le mie colleghe civiliste, ormai “mes sœurs”.

In questi mesi ho imparato molte cose ma quella più importante è a mettermi in discussione, e sono tante le volte in cui mi sono trovata a farlo. 

In primis ho imparato a mettere in discussione le aspettative. Si parte dall’Italia un po’ tutti con l’idea di aiutare il prossimo e che quindi si ricoprirà un ruolo indispensabile, e invece ti rendi conto che non è proprio così.. Villaggio Fraternité è un progetto già ben avviato, che gode di un’ottima reputazione a Sangmélima e resta solo da perfezionarlo. 
Se all’inizio questa cosa mi frustrava, adesso ho capito che è bene rendersi utili ma mai indispensabili, e che le persone apprezzano quello che fai, anche se è un piccolo gesto, se lo fai con il cuore. 

Inoltre ho imparato a mettere in discussione le mie certezze. Sorrido quando penso che, fino a prima della mia partenza, chiedevo se ci fosse possibilità di tornare qualche mese prima per cominciare di fretta e furia la magistrale - perché non si può “perdere”un altro anno. Adesso se mi offrissero di rimanere qualche mese in più accetterei senza pensarci due volte!

Ho imparato che cos’è un progetto di sviluppo ed ho toccato concretamente l’impegno e la fatica che stanno alla base di tutto ciò. Professionalmente mi sono messa in gioco in mansioni che non avrei mai pensato di svolgere, prima di scegliere di fare in servizio civile. Le lezioni di inglese con i bambini si sono rivelate una ricchezza soprattutto per me; ho scoperto l’importanza di lavorare sull’aspetto comunicativo di un progetto; ho provato la gioia nel vedere spuntare da sotto il suolo le prime fogline dei semi che avevo piantato, e l’orgoglio nel vederle crescere! 

Ho imparato a sentirmi la diversa, la mtangan, la blanche, la wat e a fare i conti con i pregiudizi e le immagini che questi appellativi creano nell’immaginario degli Africani. 

Ma soprattutto ho imparato tanto, moltissimo su di me e su una parte del mio carattere che era ancora totalmente inesplorata. Perché il Servizio Civile è molto più di un anno di volontariato all’estero; in quell’anno vivi, e impari a vivere veramente. 


Non mi resta che dire che aspetto con ansia di vedere cosa mi riserveranno i prossimi sei mesi.

di Francesca Bucaletti 

lunedì 5 marzo 2018

Diario dal Camerun di Ilaria


Sono ormai circa tre mesi che mi trovo nel continente africano, anche se sembra di essere qui da sempre, anche se sembra ieri che, appena scesa dall’aereo, mi son sentita travolta da una sensazione nostalgica e allo stesso tempo gioiosa.

Se guardo indietro mi rendo conto che già tanti sono gli sguardi incrociati, le mani tenute, le parole ascoltate, come altrettanti sono gli sforzi e le fatiche che all’inizio di questa mia esperienza ho dovuto affrontare. Eppure ricordo ancora molto lucidamente quel giorno di Settembre in cui capii che “questo è il luogo che Dio ha scelto per te, questo è il tempo pensato per te, quella che vedi è la strada tracciata per te e quello che senti l’Amore che ti accompagnerà.”
Come ogni inizio, anche quello di quest’anno di servizio civile è stato parecchio difficile, ma non ho mai dimenticato queste parole, non ho mai dimenticato di essere qui perché scelta e mandata dal Signore.

Ogni giorno faticoso, ogni ostacolo, ogni lotta contro i mulini a vento, ho avuto la fortuna di combatterli con una Forza più grande di qualsiasi ricaduta, una Forza che mi spinge a non demordere, anche quando sono debole. Se vi dico che qui a Sangmelìma (cittadina del sud del Cameroun) per riuscire ad andare ad una messa cattolica ci ho messo circa un mese, son sicura resterete un po’ sorpresi, eppure è così.

Capita che cammini e, sbagliando incrocio arrivi ad una chiesa e ti ritrovi in macchina con un pastore protestante per andare a festeggiare il giorno del Signore in un villaggio nel cuore della foresta; capita che sbagli l’orario della messa e arrivi a quella in bulu (lingua locale) e francese, senza così comprenderne più della metà; capita che, per andare alla parrocchia che ti hanno suggerito, non hai mezzi di trasporto e devi camminare 45 minuti per raggiungere la Chiesa e ricevere il corpo di Cristo.
Eppure, grazie ad ogni piccola sfida, grazie alle persone che mi sono vicine anche da lontano, riesco, un passo dopo l’altro, a rialzarmi per camminare.

Nonostante sia partita con un’idea molto precisa della “mia Africa”, nonostante questi miei pensieri non possano qui trovare concretezza, ho capito che la vera missione a cui siamo chiamati, è quella di ricercare il bene più grande, cioè la nostra felicità, mettendoci in gioco con gli altri e per gli altri.
Così, negli abbracci dei miei bambini della scuola materna, nella loro dolcezza con cui mi chiamano “Tata Ilaria”, nella loro spontaneità e, perché no, nei loro capricci, riesco a sentirmi pienamente serena. Così, nelle persone con cui lavoro, nel confronto con tante diversità, culturali e non, nella condivisione di valori, riesco a mettere in luce i miei difetti, cercare di accettarli e guardarli come dono del Signore. Così, nel lavoro quotidiano della terra, nella cura dell’orto, nell’annaffiare e nel vedere germogliare e crescere il seme piantato, riesco ogni giorno a stupirmi della bellezza e della grandezza del Creato.

Sono ormai circa tre mesi che mi trovo nel continente africano e tante continuano ad essere le novità con cui bisogna confrontarsi, come tante le domande che mi sorgono e mi mettono in difficoltà. Tuttavia, se guardo i sorrisi di quei bambini orfani, quello della piccola Divine o quello di Zee, capisco quanto il Signore sia grande perché si è fatto piccolo tra i piccoli per annunciarci che ogni croce che portiamo non deve essere motivo di tristezza ma di gioia e che con l’aiuto della fede, possiamo trasformarle in uno strumento di salvezza per il nostro cammino verso la santità.


Ilaria Tinelli
Volontaria in Servizio Civile 

mercoledì 13 dicembre 2017

Perché hai scelto il Servizio Civile? La testimonianza di Marta

Ricordo il primo spot  visto in tv sul servizio civile, vedevo ragazzi e ragazze che lavoravano insieme e si occupavano di persone che erano in difficoltà, ero ancora piccola e non mi rendevo conto pienamente di cosa voleva dire essere un civilista, avevo intuito solo una cosa, quei ragazzi erano lì per servire gli altri.

Tutto ciò è rimasto dentro di me sepolto in qualche angolo della mia coscienza, quasi dimenticato, fino a quando, un amico di famiglia, mi suggerì di presentare la domanda diversi anni dopo.

In questi anni ho fatto diverse esperienze di volontariato che mi hanno segnato profondamente e che poi, purtroppo, per diversi motivi ho dovuto abbandonare; questo, mi ha lasciato il desiderio di dedicare un periodo della mia vita a un’esperienza di servizio ma allo stesso tempo era un momento in cui cercavo di capire che indirizzo dare alla mia vita e ai miei studi.
Qui è tornato in gioco il servizio civile, scegliere il progetto non è stato affatto facile, estero o Italia? cooperazione o beni culturali? Ho colto l’occasione per lavorare su me stessa, per mettermi in discussione e capire che direzione far prendere alla mia vita.
Alla fine sono approdata in Avaz, rimarrò in Italia a Roma.  

Sarà sicuramente un’opportunità: per mettermi in gioco, per crescere, per entrare nel mondo del lavoro e della cooperazione internazionale.
Probabilmente, come quando vidi quello spot in tv, non ho ancora capito pienamente cosa significa essere un civilista e non ho ancora realizzato quanto quest’anno potrà aiutarmi a crescere, posso solo immaginare, ma non voglio crearmi troppe aspettative, voglio vivere il mio servizio giorno per giorno, godermi ogni momento e vivere ogni difficoltà e gioia.
Mi sento pronta, gasata, emozionata. Durante la formazione generale sentivo l’entusiasmo  crescere ogni giorno di più come poche volte ho provato in vita mia.

Marta Chionchio
Volontaria in Servizio Civile 

Perché hai scelto di fare Servizio Civile? La risposta di Ilaria


Mai mi sarei aspettata di dover rispondere così, su due piedi, ad una domanda tanto importante.
Il sole tramonta e fuori le campane suonano, ma nella mia testa c’è un turbinio di pensieri.

Perché, mi chiedo, perché è così difficile?
Perché scegliere di fare un anno di servizio civile vuol dire mettersi in gioco e crescere, ma non sempre è facile lasciare le certezze per partire e mettersi in cammino verso un luogo che, non solo è lontano, ma è anche sconosciuto. Eppure, scegliere di vivere un’esperienza tale, vuol dire fidarsi di sé stessi, di ciò che si sente sia opportuno fare in un periodo preciso della propria vita, quando si è giunti al termine del proprio percorso di studi. E per me, scegliere di fare servizio civile, è seguire una chiamata, è saper leggere ogni singolo avvenimento come segno importante per la realizzazione di un grande sogno. Mettersi al servizio degli altri per (ri)trovare sé stessi, confrontarsi con altri, diversi da noi, per arricchirsi e trovare così il coraggio, che non è negazione della paura, ma capacità di controllarla. Mettersi alla prova in una cultura diversa perché “arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti. […] D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere.” (Italo Calvino)

Scegliere di fare il servizio civile vuol dire condividere un pezzo del proprio cammino con altri giovani che, come me, si interrogano e cercano risposte, anche se a domande diverse, ma da cui sicuramente si può sempre imparare qualcosa di nuovo perché è nel confronto quotidiano dei propri limiti e dei propri pregi che si può crescere e vivere in un clima di fratellanza reciproca. 
Vivere il servizio civile in terra africana, nella foresta equatoriale camerunese e a contatto con i bambini, spero mi potrà aiutare a farlo in modo più limpido e sobrio, più vero e diretto, prendendo una pausa dal “mondo inquinato” in cui siamo immersi, sperando di sentire quel vento fresco che potrà diventare l’ossigeno del mio respiro, la mia gioia di vivere.


Ilaria Tinelli
Volontaria in Servizio Civile in Camerun