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mercoledì 18 settembre 2019

16 modi di dire…Camerun

Eccomi (déjà) a scrivere l'articolo di metà servizio, durante la pausa estiva nella mia terra natale, in spiaggia, e sulle note delle canzoni ascoltate/ballate in questi mesi e che ho deliberatamente deciso di continuare ad ascoltare sotto l'ombrellone. Le parole, estrapolate dai testi talvolta monotematici e a cui poi ho attribuito un personale significato, risuonano ancora nella mia mente al punto che continuo a canticchiarle e addirittura citarle neanche provenissero dallo Zibaldone. Con questo sottofondo musicale, bizzarramente ispirante, ho deciso così di riportare i pensieri attraverso un indefinito flusso di coscienza e senza una riorganizzazione logica (espressione del caos che ancora vige nella mia testa).

1.Il francese, una delle due lingue ufficiali parlate in Camerun, che ha rappresentato per me una barriera comunicativa e per cui ho provato un po' di frustrazione non parlandolo correntemente, è un tantino migliorato al punto che riesco a carpire frasi di senso compiuto dalle canzoni (le grandi conquiste!);

2.Le barriere personali, che, ahimè (?), mi sono abilmente costruita negli anni per la diffidenza verso questo mondo “brutto sporco e cattivo", sono state abbattute in maniera parziale e mooolto lenta. Tuttavia, penso di averne costruite altre per schermare gli immancabili pensieri negativi affacciatisi di tanto in tanto nei momenti di difficoltà, e la melma che inevitabilmente anche gli altri possono spalmarti addosso;

3. Sangmélima, paese a sud del Camerun in cui vivo da po' di mesi a questa parte, in fondo, non è poi così diversa dalla città in cui ho abitato per anni… non solo per le strade dissestate, per la dimensione di paese in cui tutti sembrano conoscere le storie di tutti (come me in questo momento con il mio vicino di ombrellone) ma anche per la corruzione, che qui in Camerun ha certamente un retrogusto più intenso e rappresenta una delle ragioni che ne impedisce lo sviluppo e la crescita economica;

4.Lo spaesamento e la confusione: quella che sto provando qui al rientro in Italia, quella provata non appena atterrata in Camerun in aeroporto a Yaoundé, quella iniziale all'interno del progetto e infine quella immancabile nella testa e nel cuore;

5.Le persone incontrate... gli infaticabili ammiratori di una “bianca” a caso che lo stereotipo e il retaggio culturale, ahimè, vede ancora così desiderabile e la conseguente difficoltà nel discernere l'interesse “disinteressato” da quello “reale”; i volontari giapponesi, francesi, americani che hanno reso l'esperienza più “internazionale”; gli amici camerunesi che hanno tentato di integrarmi;

6.La foresta equatoriale… i paesaggi attraversati, gli skyline bucolici durante i tramonti caldi e fugaci, le lucciole fuori casa che di sera si accendono e le stelle in alto che illuminano Villaggio nel buio avvolgente;

7.Villaggio Fraternité… un progetto attivo da molteplici anni, una scuola materna e primaria con un centro di accoglienza per i bambini socialmente più vulnerabili…i bambini appunto... l'affetto incondizionato dei più piccoli che consentono un inizio di giornata sempre con un grande sorriso dal retrogusto talvolta amaro; i dipendenti di cui finalmente conosci tutti i nomi e il progetto che funziona così bene al punto da chiederti cosa altro si può fare per perfezionarlo ancora;

8.E poi ancora… la corrente che salta puntualmente quando hai deciso di caricare il telefono;

9.Le moustiques e l'antizanzare, divenuto l'immancabile prodotto da borsetta;

10.La danza e il ritmo africano, i tabù infranti (i miei e quelli della società in cui ti trovi);

11.Il disfacimento delle proprie sicurezze, il mettersi in discussione ogni giorno, il grado di tolleranza innalzatosi di un bel po';

12. Le mancanze, non quelle fasulle, dettate dalla distanza e dalla solitudine ma quelle profonde... di pochi ovviamente. La difficoltà nel partecipare da lontano ai cambiamenti che sono avvenuti nel corso di questi mesi ai tuoi cari, a cui ho assistito apparentemente inerme;

13.Quelle fatidiche e lecitissime domande “come è?” “come ti trovi?” o le più terribili “ ma chi te lo fa fare?!" ecc. ecc. Rispondere mi sembra a tratti faticoso, perché fornire un quadro fedele alla realtà vissuta, non è facile e soprattutto occorre che a tali domande debba rispondere prima io che sto rimettendo insieme i pezzi e tentando di fare un bilancio dei miei primi 6 mesi;









14.I "ça va aller" dedicati in momenti di disagio, che all'inizio detestavo poiché mi sembrava sollevassero l’interlocutore dalla possibilità di donarti conforto con altre parole... E che poi, cogliendone meglio il senso, ho imparato ad apprezzare;

15.La vicinanza emotiva (e anche fisica dati i pochi meridiani che ci separano) di colleghi in servizio civile che il caso ha voluto facessero la stessa esperienza altrove;

16. Gli appellativi urlati per strada mentre passeggi nella tua pelle (la blanche, la wat o mtangan nella lingua locale: il bulu), il fastidio provato nonostante l’accezione diversa di questi ultimi rispetto a quelli proferiti in occidente verso "lo straniero" che aborri con motivato sdegno... e il pensiero che il linguaggio e la parola, privilegi esclusivamente umani, possano ferire cosi tanto. E ancora… quanto i pregiudizi siano (ahimè bidirezionalmente) duri a morire... e la consapevolezza che quella splendida "diversità", che risiede soltanto nello 0.1% dei geni di cui disponiamo (essendo il genere umano per il restante 99.9% geneticamente uguale), è stata resa dalla storia non una ricchezza ma quasi un disvalore.

Insomma... tipici pensieri da spiaggia che ricorrono ascoltando simpatiche canzoncine. Il tempo per metabolizzare il tutto non è sufficiente, perché presto si ritornerà lì e poi in fondo… perché farlo ora?! l'esperienza non è ancora finita! Così, mentre mangio l'ennesimo gelato triplo cioccolato che tanto mi è mancato, scrutando l’orizzonte, mi accorgo che quello che vedo in lontananza, nella foschia, non è il Gargano ma ancora il (mio) Camerun.

Arrivo!!!

Alessandra




venerdì 3 maggio 2019

La scelta di Arianna

A giugno 2018 ho terminato l’ultimo anno di liceo classico e mi sono trovata davanti ad un grande bivio: scegliere una facoltà ad esclusione oppure cercare un’esperienza lavorativa che potesse aiutarmi a capire e scoprire qualcosa in più di me stessa fuori dalla mia “comfort zone”.
Ho deciso così, durante l’estate, di cercare un progetto di volontariato in campo educativo o ambientale ed ho iniziato a mandare svariate candidature per progetti di Servizio Volontario Europeo (in Europa).
Tra le varie ricerche ho incontrato anche la possibilità del Servizio Civile Nazionale all’estero e, oltre alle candidature in ambito europeo, ho fatto domanda per un progetto in Madagascar non essendo richiesta nessuna competenza specifica, a parte la lingua francese.
Mi sono presentata poche settimane dopo nella sede della ONG di riferimento e non avendo io alcuna aspettativa a riguardo, ho messo in chiaro che probabilmente non ero la figura adatta a coprire il ruolo ricercato. Si era così chiuso per me il capitolo del Servizio Civile senza alcun rimorso.

E quindi come sono arrivata a fare parte di un progetto di Servizio Civile in Cameroun?!
Effettivamente tre mesi dopo la mia candidatura al servizio civile nessun bando SVE mi aveva richiamata: avevo cominciato a fare qualche lavoretto saltuario, mi ero avvicinata ad alcuni progetti nel sociale con gruppi di giovani di Bologna e stavo pensando di intraprendere a settembre 2019 un percorso universitario, insomma mi ero ricreata un nuovo quotidiano, anche se non era andata via la speranza di partire per un’esperienza all’estero.
Ero quindi in attesa dell’arrivo di un'esperienza ma non sapevo bene come orientarmi per trovarla.

Durante un breve soggiorno fuori casa, in un momento inaspettato, mi è arrivata una chiamata da un numero sconosciuto con il prefisso di Roma. Ho deciso, come di norma faccio, di richiamare il numero e la voce che mi ha risposto era quella di Monica, la responsabile di Servizio Civile per AVAZ, una ONG romana a me ignota, che mi chiedeva se ero disposta a partire e lasciare la mia quotidianità, i miei punti di riferimento le mie certezze e incertezze da ventenne, per imbarcarmi in una nuova avventura in terra africana.
Sono rimasta un po’ scossa sul momento: non era assolutamente nei miei piani di andare a vivere per un lungo anno in un posto tanto lontano e quindi ho chiesto a Monica qualche giorno per pensare alla proposta.
Sono andata subito a vedere cosa fosse Villaggio Fraternité e ho trovato il video delle ex-civiliste sul loro servizio civile che mi ha trasmesso una energia talmente positiva da farmi salire un sorriso naturale, facendomi immedesimare in quel posto del mondo che fino a venti minuti prima non sapevo neanche dove si collocasse.

Ho preso la decisione da sola, senza né la pressione né il supporto dei miei affetti e tuttora penso che ciò sia stato decisivo per la mia partenza.
La sera stessa, pensando e ripensando alla proposta, mi è salito un nodo tra la pancia e la gola, non so se dovuto più alla paura o più all’adrenalina che si era messa a circolare nel mio corpo dal momento della telefonata.
Ancora incredula, nell’etichetta della Yogy-tisana mi è apparsa una saggia frase  “Let things come to you” e un altro brivido mi è salito sulla schiena procurandomi un secondo sorriso.
A quel punto non ho atteso troppo e d’impulso ho scritto a Monica che ci saremmo risentite il giorno dopo ringraziandola per essere apparsa sul mio cammino.

Penso che potrei descrivere tutti i pensieri che mi sono passati velocemente in mente quella sera, che soprattutto resteranno impressi nella mia memoria, perché son stati talmente forti da portarmi a fare questa scelta radicale.
Con tantissima paura ho deciso di prendere questo treno che mi è passato un po’ all’impazzata e un po’ imprevedibilmente, ma che credo mi farà capire, con esperienze positive e negative, molte cose.
I vent’anni sono una fase difficile della persona, ancora non si sa niente del mondo e della vita e si ha questa carica immensa di energia che è difficile canalizzare. Sono anni di semina quanto di scoperta, di sondaggio del terreno fertile e di quello arido, con la speranza che i pochi strumenti acquisiti possano essere quelli giusti per discernere cosa è bene e cosa lo è meno.
Un augurio voglio fare all’Arianna che ritornerà dal suo anno africano: "Sappi apprezzare sempre ciò che hai, in qualsiasi parte del mondo tu sia, perché vorrà dire che saprai amare te stessa e questo ti darà il giusto gusto per apprezzare la Tua libertà".

Arianna Pedone

venerdì 23 novembre 2018

Il coraggio


Se i primi sei mesi di Servizio Civile è stato faticoso e difficile adattarsi, gli ultimi sei si sono susseguiti uno dopo l’altro senza che nemmeno me ne rendessi conto. Le due settimane trascorse in Italia durante il rientro di metà servizio mi sono servite per fare una sorta di bilancio della prima parte della mia esperienza. Sono quindi tornata a giugno carica e pronta a mettermi in gioco ancora di più, spinta da quella sensazione di aver lasciato indietro delle cose, e che quella sarebbe stata l’ultima opportunità per farle. Per raccontarle tutte non basterebbe un articolo.

Concludo il mio servizio Civile con la consapevolezza che forse non avrò lasciato una grande impronta a livello progettuale, ma so di averla lasciata nel cuore di alcuni. Di Giovanni, che adesso viene a cercare la sua maestra d’inglese dicendomi “Tata, Tata, Sono arrivato primo della classe!”; di Flora, che nonostante sia già al liceo, ogni volta che vado a portarle un libro mi saluta con un dolcissimo abbraccio; di Ma’a Marie , che mi vuole bene come se fossi sua nipote; di Bernadette e Benjamain, che ogni volta che vado a far loro visita hanno sempre un piatto pronto per me. So che tutti loro e altri, si ricorderanno sempre di Tata Francesca. Ma ciò di cui non si rendono conto è di quanto loro hanno trasmesso a me e che per questo li ringrazierò per sempre. Mi porterò sempre nel cuore quello che mi hanno insegnato, per esempio a vivere la vita con più leggerezza e coraggio.

Ho anche acquisito un’altra consapevolezza, ovvero che il Cameroun è un paese che ha compreso quanto l’educazione sia importante per crescere un popolo in grado svilupparsi. C’è ancora molto lavoro da fare in questo senso e Villaggio Fraternité, in una piccola comunità come quella di Sangmelima, rende possibile a dei bambini, che altrimenti non ne avrebbero la possibilità, di diventare dei giovani intelligenti e responsabili. Sono orgogliosa di aver dato il mio contributo, anche se minimo, a questo progetto.


Negli ultimi giorni a Villaggio mi sono sentita avvolta da un forte sentimento di nostalgia. Mi sono resa conto che non vedrò i bimbi della materna passare dalla divisa rossa a quella blu della primaria, non andrò più a fare la spesa al mercato di Sangmelima, non sarò più in ufficio pronta a dare una matita a chi ha già finito la propria e non vedrò più il prugno davanti casa carico di frutti. Villaggio Fraternité e Sangmelima sono state la mia famiglia e la mia casa in quest’ultimo anno e mi rattrista molto dover salutare quella che ormai era diventata la mia quotidianità.



 Spero che il mio saluto sia soltanto un “arrivederci, a presto”  e che di tanto in tanto avrò l’opportunità di passare a Villaggio e vedere come i bambini e i girasoli siano cresciuti e sentirmi fiera di ciò.

Francesca Bucaletti

lunedì 16 ottobre 2017

Articolo di fine Servizio Civile - Erica Calabria


Dopo 10 mesi di Servizio Civile trovo difficile scrivere questo articolo, le cose da raccontare sono davvero troppe e anche le sensazioni. Sento prima di tutto di dover ringraziare tutti quelli che ne hanno fatto parte, chi da qui in Camerun e chi dall'Italia; la collaborazione è stata continua e sempre presente.

Ricordo il primo periodo, dove volevo far di tutto per dare qualcosa a questo progetto. Partiamo tutti con una grande voglia di fare tanto e a volte anche troppo. All'inizio i bambini non ti conoscono e ti vedono come il volontario nuovo e perciò sono molto curiosi: ti guardano le braccia e notano le vene, o ti toccano i capelli che per loro sono morbidi come quelli dei neonati. Mi rendo conto solo questo ultimo mese dove la scuola è ricominciata, di voler fare una pausa e godermi tutto quello che ho attorno, i bambini, il personale, ma anche il paesaggio e tutto quello che all'inizio sembrava strano.

Ho iniziato le lezioni di inglese nelle classi della primaria nel mese di febbraio. Non sapevo come sarebbe andata e nemmeno se ne sarei stata in grado. I bambini inizialmente ti vedono come l’amica e non come la maestra, per cui bisogna trovare il modo per farsi ascoltare e rispettare in classe, senza dover solo giocare. Con i più grandi è stato facile, coi più piccoli è stato sufficiente preparare lezioni con giochi o divertendosi, soprattutto con lezioni multimediali. E' stata davvero soddisfacente come attività, ancora oggi quando entro semplicemente nelle classi, mi salutano con “Good morning Madam”. Ho imparato molto in questo campo dalle maestre di Villaggio, soprattutto sul come farsi ascoltare. Certo tenere 40 bambini non è semplice, anche se loro lo fanno sembrare davvero facile. Collaborare con loro è gratificante.

Villaggio ti dà tante soddisfazioni, come per esempio il “progetto orto” che abbiamo iniziato questa estate e che sta dando i suoi frutti, o vedere il Centro di Accoglienza coi suoi educatori lavorare sul campo. Villaggio é sempre in continua evoluzione e cerca di migliorarsi nel tempo. Penso che come ogni anno cambino i volontari e i loro interessi, anche Villaggio migliori in campi diversi a seconda di cosa i volontari portano con sè. É come se ogni volontario andasse ad aggiungere qualcosa di personale al progetto, condividendolo.


Sarà difficile riabituarsi all’Italia dopo essersi integrati con la cultura di qua, ci vorrà tempo, come per tornare a dire “strano” anziché “bizzarro”. Me ne andrò con un bellissimo ricordo, sapendo come funziona la cooperazione e com'è farne parte. Essersi trovati a proprio agio in una comunità così diversa, che ti accoglie curiosa e vuole collaborare con te, non è scontato. 

Quindi ringrazio ancora tutti coloro che lo hanno fatto e che mi hanno fatto sentire parte di qualcosa.

Erica Calabria
Volontaria in Servizio Civile in Camerun

lunedì 9 ottobre 2017

Articolo di fine Servizio Civile - Flavio Boffi


Ora calmati. Mettiti seduto, rilassati e calmati. Lo sapevi dall’inizio che sarebbe arrivato questo giorno. Non sarai né il primo né l’ultimo che farà esperienze del genere, e nemmeno l’ultimo che se ne andrà con il groppo in gola. Nemmeno a dire che hai lasciato ‘sto segno indelebile non dico nella società, ma manco in una persona. Sì, hai vissuto, amato e scoperto. E qualcuno si ricorderà di te ancora per un po’ dopo la tua partenza. Ma nulla di più. Punto, a capo, capitolo b. 
E allora smettila di filosofare, di guardarti intorno con gli occhi gonfi di lacrime come fosse qualcosa a cui vorresti disperatamente aggrapparti. Smettila di cercare parole per descrivere quanto sia stato bello quest’anno. Sì, lo è stato. È stato una scoperta di tutto, a partire da me stesso. Sono arrivato con mille idee, me ne torno con una matassa che forse il tempo mi aiuterà a sbrogliare. Sono partito portandomi il fardello dell’uomo bianco: “Tutta colpa nostra”, mi dicevo. Una volta qui, ho stravolto il mio pensiero e iniziato a criticare dentro di me quasi tutto quello che vedevo intorno. Il tempo ha fatto il suo e ora apprezzo e comprendo, e quello che ancora critico lo leggo sotto un’altra lente, forse più grande, o semplicemente meno sfocata. 
Ora, non voglio fare un’analisi di tutto quello che ho visto, interpretato e riprodotto in quest’anno di servizio civile: sarebbe troppo lungo e troppo contorto ancora. E più che una considerazione, vorrei lasciare qui, su questo foglio, solo un desiderio: vorrei portare con me, nella mia vita, la loro leggerezza, la leggerezza degli africani. Ho visto padri rischiare di perdere i propri figli e continuare comunque a sorridere, ho visto sogni spezzarsi senza per questo piegare il sognatore. Ho visto vite leggere, che non si fanno il fegato marcio per qualunque cosa intorno non vada come dovrebbe o vorrebbero loro. “È così, è la vita, prendere o lasciare”, sembrano dire. 
Me ne vado con la consapevolezza di non aver dato pressoché nulla, di aver ricevuto abbracci e sorrisi immeritati, lascio qualcosa in sospeso che solo il tempo, forse, risolverà. E no, non me ne vado felice. Vorrei restare, ora che ho cominciato a capirci qualcosa del posto dove sono, ora che distinguo volti, sguardi interessati da sguardi sinceri, ora che non ho più paura. Vorrei restare, ma non posso. Più probabilmente non ho il coraggio di restare senza paracadute. Conosco qualcuno che rimarrà anche dopo, in altri paesi e in altri luoghi. Avete la mia stima e vi auguro il meglio. Per me, è ora di rientrare. Diverso da come sono partito, consapevole che non riuscirò mai a capire e conoscere tutti i mondi che compongono questa terra, ma speranzoso di conoscerli tutti. Magari con una vita presa più alla leggera, intensa e mai banale. 
Come diceva Charlie Chaplin: “Vivi come credi. Fai cosa ti dice il cuore…ciò che vuoi… una vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali. Canta, ridi, balla, ama…e vivi intensamente ogni momento della tua vita… prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi”.   

Flavio Boffi
Volontario in Servizio Civile in Camerun

venerdì 28 novembre 2014

Gregoire, il bambino senza parole

Gregoire ha 3 anni appena compiuti. Frequenta la Petite Section, la prima classe della materna. Vive all'orfanotrofio di Maman Lucie insieme a suo fratello. Non conosciamo bene la sua storia, ma già questo basta per capire che ha un vissuto pesante nonostante la sua tenera età. 

I primi giorni di scuola arrivava senza divisa e senza parlare, sembrava non sapere le parole. E’ stato iscritto a scuola da uno dei ragazzi più grandi dell’orfanotrofio in cui vive e in classe era l’unico bimbo che non rispondeva mai all'appello. 

La sua insegnante, Tata Nathalie, gli ha chiesto come si chiamasse e quale fosse il suo quartiere mille volte, prima in francese, poi in Bulu, il dialetto del luogo. Ma Gregoire non ha mai risposto, non ha mai detto una parola. L'ho trovato spesso in disparte, anche durante l’intervallo, sempre in silenzio.



Piccolino, ma con la fronte alta e l'espressione seria, mi fissava sempre come se fosse arrabbiato. I primi giorni di scuola Carlo, l'altro volontario del Servizio Civile con me al Villaggio Fraternitè, l’ha immortalato in diverse foto e mostrandomele diceva: “Sembra sempre che ce l’abbia con me”, tanto il piccolino era imbronciato.

Mi capita di osservarlo spesso, e ora, a distanza di qualche mese, soprattutto al Centro d’Accoglienza, partecipa nel suo piccolo alle attività: colora, disegna, va dietro agli altri bambini. Solo da poco l’ho sorpreso a parlare con la sua vocina dolcissima e quando lo fa, quando finalmente si libera dalla paura e si esprime cambia completamente i tratti del suo bellissimo viso e la sua espressione seria sparisce. Ha iniziato addirittura a sorridermi! 

Mi ha commosso quella sua vocina così delicata, ma mi ha anche tranquillizzata.  Alla fine il piccolo Gregoire aveva solo bisogno di sentirsi rassicurato per sciogliersi un piano piano.

Claudia

venerdì 7 novembre 2014

Il bambino preferito: una storia d'amore

Ebbene sì, ho un bambino preferito. Mi fa strano scriverlo. Non sono tipo da preferenze, sono stata cresciuta da genitori che hanno amato me e i miei fratelli in maniera eguale, non sono mai stata la preferita della maestra, né la più simpatica tra i miei amici.

Una delle prime mattine qui al Villaggio Fraternité, sono arrivata alla materna prima dell’orario di inizio della scuola, quando i bambini vivono un momento di animazione nel cortile dei giochi. Dopo una rapida messa a fuoco sono rimasta colpita da un bambino che al richiamo della maestra, mentre tutti gli altri cantavano e ballavano, non aveva avuto nessuna reazione. Se ne stava lì, perso nei suoi pensieri, lontano da tutto quello che lo circondava.

Da quel momento è diventato il mio bambino preferito. Sempre in quel momento, però, decisi che non avrei mai manifestato a lui o agli altri bambini questa preferenza; non farò eccezione nemmeno con voi, quindi perdonatemi se non scriverò il suo nome né allegherò una sua foto.

All’epoca il piccolo aveva 3 anni e, anche se in quel periodo  ho trascorso molto tempo con i bimbi durante la ricreazione e la merenda, lui non si è mai avvicinato a me.  Per qualche mese non ho saputo nemmeno il suo nome. Gli ho sorriso più volte, così come faccio con tutti,  ma lui ha sempre distolto lo sguardo. Non è mai venuto a salutarmi come gli altri quando mi  vedevano arrivare. Molto timido, parlava con gli amichetti solo quando si avvicinavano per giocare.

Ma nel tempo piano piano qualcosa è cambiato e ho visto i suoi progressi. Tra la fine  del vecchio anno scolastico e l’inizio del nuovo ha iniziato ad aprirsi: ora sorride, interagisce e partecipa alle attività di gruppo. Sta prendendo confidenza con il francese (in casa spesso si parla solo il dialetto locale) e questo gli permette di lasciarsi coinvolgere dalle lezioni e dai giochi. E’ diventato amico di Carlo, l’altro volontario in servizio civile; quando lo vede gli corre incontro, gli sorride, gli stringe la mano.

E io? Beh, io ho continuato a giocare con tutti i bambini che lo desideravano, senza forzarli.  Lui non mi ha mai rivolto la parola… fino a qualche giorno fa. Un pomeriggio, mentre davo una mano al Centro d’accoglienza e distribuivo i disegni da colorare tratti da un cartone animato che avevamo guardato tutti insieme, è accaduto qualcosa. I bimbi erano tutti al loro posto e io passavo tra i tavoli  con i fogli e i pastelli. Arrivata al suo banco ho consegnato anche a lui alcuni pastelli e mi  sono mossa verso il tavolo successivo quando una vocina flebile mi ha bloccato: “Mercì Tata Clodia”...Grazie a te, piccolo mio, che mi hai scaldato il cuore. 

Claudia 

mercoledì 14 maggio 2014

Primo mese e prime esperienze al Villaggio Fraternitè dei Volontari del Servizio Civile

Un mese è ormai passato dal giorno in cui siamo partiti per la nostra grande esperienza, e crediamo sia giunto il momento di esprimere le nostre prime impressioni in merito, premettendo che molto abbiamo ancora da imparare e che non si può certo dire di conoscere un ambiente lavorativo né tanto meno una nuova cultura in un periodo così breve (soprattutto se si è in un altro continente!).

Noi pensiamo di avere avuto la possibilità di fare le giuste riflessioni prima di partire, al corso di formazione che ricordiamo con un sorriso, ciò nonostante una volta arrivati qui abbiamo da subito iniziato ad affrontare parecchie barriere che vanno ben al di là della sola difficoltà linguistica iniziale. E con “da subito” si intende all'uscita dell'aeroporto, quando da bravi turisti ci siamo fatti immediatamente abbindolare da una persona che ha insistito per aiutarci chiamando il nostro referente, ovviamente aspettandosi poi un ringraziamento monetario più che adeguato.

Ma quando ci si trova in mezzo tutti i giorni si impara in fretta, e anche se siamo ancora nel pieno della fase di apprendimento, e tendiamo perciò ad osservare più che ad agire, iniziamo anche a muovere i nostri passi in maniera relativamente autonoma sia con il personale del Villaggio Fraternité che con i nostri nuovi concittadini. Questo sempre sotto la supervisione dei nostri preziosi referenti Avaz in loco, che sono per noi il ponte fra le due culture e società.

Attualmente la struttura in cui lavoriamo è ben avviata e funzionante, ed è formata da due ambiti separati (anche fisicamente, diversi edifici), che sono la scuola materna e la scuola primaria (equivalente delle nostre elementari), per entrambe è presente l'attività di centro di accoglienza, fulcro di tutto il progetto.

Il centro di accoglienza è un'attività riservata ad una parte degli studenti, selezionati fra quelli con maggiori difficoltà economiche e famigliari, che al termine delle regolari lezioni scolastiche rimangono presso la struttura per svolgere ulteriori attività in gruppo, assistiti da personale dedicato. L'idea diventa quindi anche quella di permettere a bambini di differenti estrazioni sociali di condividere il quotidiano, la struttura scolastica e le lezioni.

La struttura del Villaggio Fraternité è situata a poca distanza dalla città di Sangmelima, lungo una strada in terra battuta che attraversando il fiume Lobo raggiunge i villaggi sparsi all'interno della fitta foresta. Perciò è presente un servizio di trasporto, che vanno a servire sia i bambini dei villaggi che quelli della città.

In un ambito in cui anche le scuole pubbliche sono a pagamento, e le divise scolastiche (sempre obbligatorie) sono di norma a carico degli alunni, il Villaggio Fraternité si pone come elemento di stacco, fornendo non solo le divise, ma anche una merenda per tutti gli alunni, oltre ad un pasto vero e proprio a coloro che sono inseriti nel progetto del centro di accoglienza. Inoltre come già detto è presente un servizio di scuolabus, e sono previste sovvenzioni economiche per i casi di necessità.

A parte gli aspetti tecnici, a partire dai primi giorni abbiamo iniziato a riscrivere la nostra idea di Africa, e soprattutto di “villaggio sperduto nella foresta tropicale”, e persino di città. E' vero, siamo nel bel mezzo di una enorme foresta, ed è vero che ci sono molti problemi tra cui le tristemente note malattie ed il tenore di vita mediamente basso, ma è anche vero che qui c'è molta vivacità, e alla sera le strade ed i bar, anche quelli dei villaggi, sono decisamente più animati di quelli a cui siamo abituati. La città poi non ha una vera e propria piazza, né parchi pubblici o punti di ritrovo distanti dal caos del traffico sempre presente, ma la gente si ritrova ugualmente per guardare le partite di calcio nei locali con i maxi schermi, bevendo birra e mangiando spiedini di carne oppure pesce alla brace (cinese, importato congelato). La corrente elettrica è presente (anche se non sempre funzionante) in quasi tutti gli angoli del paese, così come sono presenti i cellulari, e Facebook che è già arrivato al punto di dare il nome ad un locale della città.

Abbiamo la fortuna di essere in contatto con diverse persone che possono essere per noi una chiave di accesso alla vita del posto, e anche se al mercato continuano ad urlarci “ntang!” (“bianco” nella lingua bulu, la più diffusa della zona), quasi tutti sanno chi siamo, e quando si fermano a parlarci citano immediatamente il Villaggio Fraternité, oppure i nostri “fratelli” bianchi che già conoscono. Questo ci permette di socializzare senza alcuna difficoltà, soprattutto perché la gente del posto non ci identifica come turisti bianchi, ma come persone che qui lavorano, e che comunque rimarranno per un periodo prolungato. Certo, i prezzi per noi tendono sempre ad essere un po' più alti... ma se fossimo in Italia questo potrebbe essere argomentato come redistribuzione del reddito!

Volontari del Servizio Civile Carlo e Claudia 




martedì 3 dicembre 2013

20 Novembre 2013 - AVAZ TORNA A SCUOLA








In occasione della 23^ Giornata Mondiale dei Diritti del Fanciullo Avaz si è recata presso la scuola elementare “Anna Magnani”.  Rossella, Barbara e Valentina sono state accolte dai bambini e dalle insegnanti della classe 4A che con entusiasmo hanno seguito i vari interventi. Valentina ha parlato con gli alunni dei diritti umani nel mondo, di come vivono i bambini in Cina e in Sud America e dei problemi che questi incontrano nella loro gioventù. L’interesse mostrato verso l’argomento da parte della classe è stato molto e la curiosità li ha spinti a fare tantissime domande!


Rossella ha poi proiettato il video (che potete trovare a questo indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=YLSsvyjmMA8) della sua ultima visita al Villaggio Fraternité, spiegando ai bambini le varie scene e rispondendo a tutte le loro curiosità. 


La classe è stata molto entusiasta quando è stato proposto loro di contribuire alla raccolta materiali da inviare in Camerun. Chi vuole portare vestiti, chi puzzles e altri giochi, chi medicinali, siamo sicuri che il contributo che verrà offerto da questa classe sarà importante!


L’iniziativa si è già allargata ad altre classi dello stesso istituto e ad altre scuole della zona.
Ringraziamo le insegnanti e i genitori per la loro disponibilità e soprattutto gli alunni per essere stati così interessati e partecipi!