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giovedì 27 febbraio 2020

Scoiattoli alle noci


C’è un vecchio film in cui il tizio dice alla fanciulla:
“... è strano, lei non sembra essere inibita… allora perché ha pensato di essere fuori posto? Nessuno può dirle qual è il suo posto... dove è il mio posto? Dove è il posto degli altri? Glielo dico io dove è. Dove lei è felice, lì è il suo posto.”

Ecco, posso dire che nella seconda metà del servizio civile, poiché le circostanze hanno fatto sì che l’esperienza procedesse secondo una direzione diversa rispetto a quella con cui era iniziata, mi sono interrogata diverse volte; dapprima per capire quale fosse il “mio posto” a Villaggio Fraternité, in quella piccola città a sud del Camerun (Sangmelima) e poi in generale se quel “posto” potesse essere nel mondo della cooperazione, che tanto mi aveva affascinato.
Per la seconda questione ho pensato di procrastinare momentaneamente la risposta, mentre per la prima ho deciso che la scelta migliore sarebbe stata quella di cercare di adattarsi, di essere flessibile e di trovare una nuova collocazione in quel contesto; ho perciò cominciato a correre (metaforicamente e letteralmente) ovunque ci fosse necessità e a svolgere qualsivoglia compito mi venisse assegnato, cercando di farlo sempre al meglio. 
A Villaggio avrei potuto fare certamente molto di più, ma poiché ho imparato ad essere un po’ meno severa con me stessa, posso dire che va bene così; in generale ho cercato di “profiter”: ho viaggiato “in solitaria” e in gruppo (adottata da dolcissime civiliste di un’altra ONG) e questo mi ha consentito di trarre il meglio sia dalla condivisione con altre persone che dallo star soli; in quest’ultima occasione ho scoperto una nuova sensazione di libertà. Mi sono lasciata trasportare da ciò che la realtà mi proponeva e ad un certo punto ho cominciato ad agire con più leggerezza, io che viaggio da sempre con pesantissime zavorre... e mi sono resa conto di questo piccolo ma grande mutamento che il Camerun aveva prodotto. Questo Camerun amato/odiato in un’altalena emotiva durata un anno.

È finita e come nei film alla fine sullo schermo nero scorrono i titoli di coda e i ringraziamenti alle persone che vi hanno partecipato.
Villaggio: un luogo speciale, una scuola unica e una vera e propria casa per tante persone, adulti e bambini.
La mia famiglia AVAZ a Roma e a Sangmelima. Gli chefs, amici e fratelli prima ancora che guide: hanno ascoltato i miei pensieri confusi e tentato di dare delle risposte; mi hanno sostenuto e supportato in plurime circostanze, mi hanno stimolato e attraverso conversazioni maieutiche mi hanno permesso di tirar fuori pensieri e riflessioni impolverati che per mia natura fanno fatica ad emergere; le loro splendide compagne hanno capito i miei complessi e le mie insicurezze e hanno “lavorato” in silenzio per ridimensionarli.
I miei piccoli coinquilini con cui sono cresciuta anche io, due bimbetti speciali che con abbracci e riflessioni “adulte” mi hanno conquistata (nonostante pianti e sveglie all’alba) e commosso, bussando al mio cuore duro.
Gli amici, alcuni dei quali sono diventati persone di cui mi sono fidata, io, sfiduciata per natura. Mi hanno accolta, integrata, aiutata ed io ho tentato di fare lo stesso nel mio piccolo.
Le mie sorelle: una ex volontaria, un’esplosione di carica, un arcobaleno dopo le piogge torrenziali camerunesi, diventata la complice che mi ha traghettato davvero fino alla fine (accompagnandomi in aeroporto) e una suora speciale, la compagna di viaggio degli ultimi sei mesi dal sorriso aperto e dalle braccia accoglienti, sempre pronta a dispensare consigli e adorabili quotidiane prese in giro. 
Chi si è affacciato sul percorso un po’ per caso, chissà...
Chi ha contribuito a farmi apprezzare questa cultura diversa, a farmi capire che non bisogna arrendersi anche quando tutto suggerirebbe di spegnersi.
Chi rimarrà nonostante le distanze.
A tutti loro va un sincero grazie!

Infine a chi mi chiederà nei prossimi giorni perché non si resta semplicemente in Italia, perché si parte per terre lontane, credo citerò sempre lo stesso vecchio film in cui il solito tizio dice che c’è gente che va al parco a dare noci agli scoiattoli perché farlo le rende felici. Ma alla fine, scoprire che ti rende più felice dare scoiattoli alle noci, va bene lo stesso.

Alessandra


mercoledì 19 febbraio 2020

«E finitela di essere pigri di vita, stropicciatevi gli occhi che è solo così che ci si rende conto della meraviglia» (Cit. Gio Evan)

Manca ormai poco alla fine del mio Servizio Civile. È stato un anno intenso, ricco di emozioni, di nuove scoperte, di nuovi inizi, di cambiamenti ma soprattutto un anno pieno di me. Potrà sembrare una considerazione egoista e non mi vergogno ad ammettere che sì, è stato un anno in cui ho imparato a pensare di più a me stessa. Questo anno di Servizio Civile è volato via, mi sembra ieri quando sono entrata per la prima volta nella sede di Avaz e sembra ieri il mio primo incontro a scuola. È stato, sicuramente, un anno bello movimentato e forse è per questo che sembra essere volato via … Dopotutto si dice che quando ci si annoia il tempo scorra lentamente e quando ci si diverte e si sta bene scorra più velocemente.

Il mio Servizio Civile è iniziato ed è finito con le scuole. Il primo incontro a cui ho partecipato è stato proprio una settimana dopo l’avvio del servizio e me lo ricordo bene. Eravamo io e Cecilia, la mia responsabile di progetto, e siamo andate in una terza media a parlare di consumo critico e commercio equo e solidale. Ricordo che mi sentivo spaventata ed emozionata allo stesso tempo. Avevo già avuto esperienze di incontri con i ragazzi ma non mi era mai capitato di farne uno a scuola e la cosa mi emozionava tanto. Qualche giorno fa, proprio come un anno fa, ero nella stessa situazione: io e la mia responsabile Cecilia in una terza media, per svolgere l’ultimo incontro del progetto sul consumo critico. L’emozione c’era sempre ma era un emozione che potrei definire “consapevole”. Consapevole di tutto quello che da Febbraio dello scorso anno a questa parte ho avuto modo di imparare e che vuoi o non vuoi mi viene spontaneo raccontare ai ragazzi. In queste ultime settimane abbiamo incontrato in tutto 7 terze medie, per un totale di 21 incontri svolti e di 142 ragazzi incontrati. In tre di queste terze medie abbiamo presentato il nuovo progetto del Percorso Scuolidale intitolato “Lo sfruttamento inquina il Pianeta”. Questi incontri mi hanno lasciato dentro un mix di soddisfazione ed entusiasmo perché non c’è niente di più bello di portare alla luce un progetto a cui hai dedicato tanto tempo ma soprattutto te stessa. La soddisfazione è stata proprio vedere l’interesse e l’entusiasmo di alunni e professori nei confronti del progetto.

Per il mio ultimo articolo ho pensato di fare qualcosa di diverso, ho pensato di “snocciolare” la parola volontaria e associare ad ogni lettera una parola che mi viene in mente per ripercorre questo anno.

VOGLIA. Questa esperienza è stata stimolante, motivante, un crescendo di emozioni che mi hanno fatto venire voglia di continuare, di andare avanti  nonostante quei momenti no che la vita ci riserva. E poi, come si dice, se c’è la voglia c’è tutto. Non penso sia un caso se la prima parola che mi è venuta in mente sia questa. Penso verrebbe in mente a chiunque un mercoledì mattina passi nella sede di Avaz perché la vedrebbe con i suoi stessi occhi. Io l’ho vista il primo giorno che sono entrata in sede, durante il primo incontro di formazione specifica, quando Carla raccontava a me e agli altri volontari la storia di Avaz. Ma l’ho vista anche quando Cecilia, la mia responsabile, mi ha raccontato tutto ciò che avevano fatto nell’area EAS (Educazione allo Sviluppo) fino a quel momento. Potrei raccontarvi tantissimi altri momenti, non basterebbe una pagina, perché avere voglia di fare è proprio ciò che caratterizza le volontarie di questa associazione.

CONSAPEVOLEZZA. Il Servizio Civile e i vari incontri a cui ho partecipato durante l’anno mi hanno sicuramente reso più consapevole sulla realtà che mi circonda. Anche se a volte sapere la verità fa male, di sicuro è meglio che ignorarla o non saperla per niente. Per questo mi sento di dire che questa esperienza mi ha formata soprattutto dal  punto di vista umano e non posso far altro che ricordala per sempre con gratitudine.

LUNA. E vi chiederete, che centra la luna? Dovete sapere che da quando ero piccola ho la passione per la notte, la luna e la stelle. Mia madre dice che la notte io prendo vita (come se fossi un vampiro), nel senso che parlo molto di più e sono super attiva. Quest’estate, per quasi tutto il mese di giugno, ogni giorno che arrivavo in sede e che aprivo la finestra della mia stanza ad aspettarmi su nel cielo c’era una lunetta un po’ sbiadita. Giuro che mi faceva compagnia tutta la mattina perché rimaneva sempre nel quadro della finestra. Lo vedo un po’ come un segno di protezione o forse come portare una parte di me in un contesto chiamiamolo di lavoro o meglio di esperienza di vita.

OPPORTUNITÀ. Grazie all’associazione AVAZ per avermi dato questa opportunità che, anche se forse non lo faccio vedere, per me ha significato tanto.

NUOVO. Come ho sempre detto, questa esperienza mi ha dato la possibilità di conoscere ma anche di entrare a far parte di un mondo nuovo, quello del volontariato e delle ONG. È stata anche la mia prima esperienza di lavoro che a sua volta mi ha portata a fare diverse cose per la prima volta, come preparare delle interviste, partecipare a workshop, organizzare degli incontri, parlare ad una intera classe di adolescenti, ecc … All’inizio le novità mi spaventano sempre poi però appena finiscono non vedo l’ora di provarne delle nuove. 

TIMIDEZZA. Questa non mi manca mai, però durante quest’anno ho imparato a metterla un bel po’ da parte.

ENTUSIASMO. Mi hanno detto che in questo anno i miei occhi si sono accesi di voglia ed entusiasmo. Diciamo che è un po’ impossibile non farsi contagiare dalla voglia di fare delle volontarie Cecilia, Marta, Carla, Monica ed Annalisa. In questo anno le ho viste organizzare così tanti incontri ed eventi che spesso mi sono chiesta come fanno a far conciliare il loro lavoro nell’associazione con il resto della loro vita e soprattutto ad essere sempre piene di entusiasmo. Poi ho capito che bastano queste due cose, la voglia e l’entusiasmo, per andare avanti e allora mi sono lasciata contagiare anche io. Dopotutto ho fatto domanda per il Servizio Civile proprio per questo. Come ho detto prima, è proprio impossibile non farsi contagiare dalla bellezza dei progetti e delle attività che un gruppo di persone semplici, volenterose e con gli stessi ideali hanno creato nel lontano 1985.

ROMA. La prima parola che mi è venuta in mente con la r è Roma perché è legata ad un ricordo di inizio servizio civile. Prima di iniziare il servizio civile sapevo che ci sarebbe stata una settimana di formazione. In questa settimana  sarei dovuta stare all’interno di una struttura con ragazzi e ragazze provenienti da diverse regioni. La cosa mi spaventava un po’ ma tanto ero sicura che al massimo mi sarei dovuta spostare in un’altra zona di Roma. E invece non è stato così perché la formazione di quest’anno si è svolta a Catania. Ricordo ancora adesso, e mi viene da ridere, il terrore che si è dipinto sulla mia faccia quando Monica mi ha detto che sarei dovuta andare a Catania. Inutile dire che è stata un’esperienza bellissima, di cui porterò sempre un bel ricordo oltre che a tante risate.

INIZIO. Qui mi riaggancio alla parola “opportunità” e al fatto che questo Servizio Civile mi ha dato la possibilità di iniziare un nuovo capitolo della mia vita.

AVVENTURA. Mi piace definire così questo anno, una lunga e bellissima avventura che ho avuto il piacere di vivermi a pieno. 

Vorrei finire il mio articolo con queste parole scritte da Carla, responsabile dell’area EAS, qualche giorno fa in conclusione degli incontri con le scuole:“Ognuna di voi sia fiera del contributo che dà … e una menzione speciale la meritano gli occhi di Elisabetta che in questo anno si sono accesi di voglia ed entusiasmo.” Concludo così, con queste parole che mi hanno fatta emozionare e ringraziando le mie colleghe dell’area EAS perché è anche grazie a loro se queste parole sono vere. 
Elisabetta

venerdì 4 ottobre 2019

“Smettetela di trattenervi, siete fatti per esplodere” (Cit. Gio Evan)


In questi primi 6 mesi di servizio civile sono entrata a far parte di un mondo nuovo, quello delle ONG, del volontariato e della cooperazione che prima non conoscevo. La formazione di inizio servizio mi è servita tantissimo per inquadrare il mio anno di servizio civile e soprattutto mi ha dato le basi per affacciarmi a questo nuovo mondo. La mia esperienza di servizio civile si sta rivelando come un’esperienza di crescita professionale ma soprattutto personale. Ho imparato a mettermi in gioco, ad avere più fiducia e autostima in me stessa, a lasciare da parte la mia pigrizia e timidezza e ad avere più coraggio in ciò che faccio. Penso che tutto ciò che ho imparato fino ad adesso si rafforzerà tantissimo alla fine del servizio civile sia perché manca ancora molto sia perché già so che nei prossimi mesi ci sarà tanto da fare e avrò tante altre occasioni per mettermi in gioco. In fondo io ho scelto di fare domanda proprio per questo motivo, avevo bisogno di qualcosa che mi facesse tornare la voglia di fare e di mettermi in gioco.
Per quanta riguarda la questione del mettermi in gioco, vi vorrei raccontare di quando quest’anno mi hanno chiesto di testimoniare la mia esperienza durante la Festa della Repubblica ai Fori Imperiali. Che dire! Mai avrei pensato di fare una cosa del genere! E invece che io ci creda o no l’ho fatta. Il 2 Giugno ho rappresentato i volontari del servizio civile universale facendo delle interviste per le diverse tv nazionali in cui ho potuto raccontare la mia esperienza e testimoniare il progetto in cui sono impegnata.  
La cosa che mi stupisce ancora adesso è che quando mi è stato proposto non ci ho pensato neanche un minuto e ho detto subito di sì. Devo ammettere che la mattina del 2 mi sono mandata tanti accidenti perché avevo un po’ di ansia, ma alla fine sono andata bene. Sono stata bravissima, me l’hanno detto in tanti, ma la cosa più importante per me è che io stessa me lo sono detta da sola e continuo a farlo tuttora. Ogni tanto mi concedo anche io una pacca sulla spalla. Per la preparazione delle interviste devo ringraziare Marta che con molta pazienza mi ha aiutato nelle simulazioni, ricordandomi ogni secondo di sorridere e guardare in camera.
La cosa più bella che ho imparato in questi sei mesi è il rapporto con gli altri. Ho iniziato a capirne l'importanza durante la settimana di formazione a Catania e ho continuato a farne tesoro in questi mesi di servizio. Creare dei legami con chi ci sta intorno, solo così possiamo essere felici e vivere bene.

Proprio ieri, dopo un pomeriggio in cui mi sentivo un po’ giù di morale, un messaggio con tanto di video in allegato mi ha fatto rispuntare il sorriso. Era il video dei bambini di Villaggio Fraternité che cantavano l'inno nazionale e il messaggio diceva: "Giusto per farti vivere un po’ la realtà di villaggio". Quando prima ho parlato di creare dei legami è questo che intendevo. È stato bellissimo ricevere quel messaggio perché mi sono sentita, nel mio piccolo, come se fossi lì anche io. Il messaggio mi è stato mandato da Alessandra, anche lei volontaria in servizio civile di Avaz, con la quale mi sono trovata bene fin da subito. Ogni tanto ci scriviamo per aggiornarci e raccontarci le attività che svolgiamo.

Io sono impegnata in un progetto di educazione allo sviluppo che si chiama “IntegrAzione: educare alla pace e alla cittadinanza attiva”. Il progetto prevede attività che si svolgono sia in sede Avaz che fuori, principalmente nelle scuole del III Municipio. Proprio per gli incontri nelle scuole, nei mesi estivi ho lavorato ad un terzo progetto che si chiama “Lo sfruttamento inquina il pianeta”. Lo presenteremo nelle scuole a partire dal mese di Novembre, in cui inizieremo gli incontri anche sul Consumo Critico e sui Diritti Umani.
Un anno fa, proprio in questo periodo, decisi di fare domanda per il servizio civile. Ad oggi sono molto contenta della scelta che ho fatto e penso che tutti, almeno una volta, dovrebbero fare un esperienza del genere.
Questa esperienza si sta rivelando un crescendo di emozioni che voi neanche immaginate.
                                                                                                                         
                                                                                                                       Elisabetta

mercoledì 18 settembre 2019

16 modi di dire…Camerun

Eccomi (déjà) a scrivere l'articolo di metà servizio, durante la pausa estiva nella mia terra natale, in spiaggia, e sulle note delle canzoni ascoltate/ballate in questi mesi e che ho deliberatamente deciso di continuare ad ascoltare sotto l'ombrellone. Le parole, estrapolate dai testi talvolta monotematici e a cui poi ho attribuito un personale significato, risuonano ancora nella mia mente al punto che continuo a canticchiarle e addirittura citarle neanche provenissero dallo Zibaldone. Con questo sottofondo musicale, bizzarramente ispirante, ho deciso così di riportare i pensieri attraverso un indefinito flusso di coscienza e senza una riorganizzazione logica (espressione del caos che ancora vige nella mia testa).

1.Il francese, una delle due lingue ufficiali parlate in Camerun, che ha rappresentato per me una barriera comunicativa e per cui ho provato un po' di frustrazione non parlandolo correntemente, è un tantino migliorato al punto che riesco a carpire frasi di senso compiuto dalle canzoni (le grandi conquiste!);

2.Le barriere personali, che, ahimè (?), mi sono abilmente costruita negli anni per la diffidenza verso questo mondo “brutto sporco e cattivo", sono state abbattute in maniera parziale e mooolto lenta. Tuttavia, penso di averne costruite altre per schermare gli immancabili pensieri negativi affacciatisi di tanto in tanto nei momenti di difficoltà, e la melma che inevitabilmente anche gli altri possono spalmarti addosso;

3. Sangmélima, paese a sud del Camerun in cui vivo da po' di mesi a questa parte, in fondo, non è poi così diversa dalla città in cui ho abitato per anni… non solo per le strade dissestate, per la dimensione di paese in cui tutti sembrano conoscere le storie di tutti (come me in questo momento con il mio vicino di ombrellone) ma anche per la corruzione, che qui in Camerun ha certamente un retrogusto più intenso e rappresenta una delle ragioni che ne impedisce lo sviluppo e la crescita economica;

4.Lo spaesamento e la confusione: quella che sto provando qui al rientro in Italia, quella provata non appena atterrata in Camerun in aeroporto a Yaoundé, quella iniziale all'interno del progetto e infine quella immancabile nella testa e nel cuore;

5.Le persone incontrate... gli infaticabili ammiratori di una “bianca” a caso che lo stereotipo e il retaggio culturale, ahimè, vede ancora così desiderabile e la conseguente difficoltà nel discernere l'interesse “disinteressato” da quello “reale”; i volontari giapponesi, francesi, americani che hanno reso l'esperienza più “internazionale”; gli amici camerunesi che hanno tentato di integrarmi;

6.La foresta equatoriale… i paesaggi attraversati, gli skyline bucolici durante i tramonti caldi e fugaci, le lucciole fuori casa che di sera si accendono e le stelle in alto che illuminano Villaggio nel buio avvolgente;

7.Villaggio Fraternité… un progetto attivo da molteplici anni, una scuola materna e primaria con un centro di accoglienza per i bambini socialmente più vulnerabili…i bambini appunto... l'affetto incondizionato dei più piccoli che consentono un inizio di giornata sempre con un grande sorriso dal retrogusto talvolta amaro; i dipendenti di cui finalmente conosci tutti i nomi e il progetto che funziona così bene al punto da chiederti cosa altro si può fare per perfezionarlo ancora;

8.E poi ancora… la corrente che salta puntualmente quando hai deciso di caricare il telefono;

9.Le moustiques e l'antizanzare, divenuto l'immancabile prodotto da borsetta;

10.La danza e il ritmo africano, i tabù infranti (i miei e quelli della società in cui ti trovi);

11.Il disfacimento delle proprie sicurezze, il mettersi in discussione ogni giorno, il grado di tolleranza innalzatosi di un bel po';

12. Le mancanze, non quelle fasulle, dettate dalla distanza e dalla solitudine ma quelle profonde... di pochi ovviamente. La difficoltà nel partecipare da lontano ai cambiamenti che sono avvenuti nel corso di questi mesi ai tuoi cari, a cui ho assistito apparentemente inerme;

13.Quelle fatidiche e lecitissime domande “come è?” “come ti trovi?” o le più terribili “ ma chi te lo fa fare?!" ecc. ecc. Rispondere mi sembra a tratti faticoso, perché fornire un quadro fedele alla realtà vissuta, non è facile e soprattutto occorre che a tali domande debba rispondere prima io che sto rimettendo insieme i pezzi e tentando di fare un bilancio dei miei primi 6 mesi;









14.I "ça va aller" dedicati in momenti di disagio, che all'inizio detestavo poiché mi sembrava sollevassero l’interlocutore dalla possibilità di donarti conforto con altre parole... E che poi, cogliendone meglio il senso, ho imparato ad apprezzare;

15.La vicinanza emotiva (e anche fisica dati i pochi meridiani che ci separano) di colleghi in servizio civile che il caso ha voluto facessero la stessa esperienza altrove;

16. Gli appellativi urlati per strada mentre passeggi nella tua pelle (la blanche, la wat o mtangan nella lingua locale: il bulu), il fastidio provato nonostante l’accezione diversa di questi ultimi rispetto a quelli proferiti in occidente verso "lo straniero" che aborri con motivato sdegno... e il pensiero che il linguaggio e la parola, privilegi esclusivamente umani, possano ferire cosi tanto. E ancora… quanto i pregiudizi siano (ahimè bidirezionalmente) duri a morire... e la consapevolezza che quella splendida "diversità", che risiede soltanto nello 0.1% dei geni di cui disponiamo (essendo il genere umano per il restante 99.9% geneticamente uguale), è stata resa dalla storia non una ricchezza ma quasi un disvalore.

Insomma... tipici pensieri da spiaggia che ricorrono ascoltando simpatiche canzoncine. Il tempo per metabolizzare il tutto non è sufficiente, perché presto si ritornerà lì e poi in fondo… perché farlo ora?! l'esperienza non è ancora finita! Così, mentre mangio l'ennesimo gelato triplo cioccolato che tanto mi è mancato, scrutando l’orizzonte, mi accorgo che quello che vedo in lontananza, nella foschia, non è il Gargano ma ancora il (mio) Camerun.

Arrivo!!!

Alessandra




venerdì 3 maggio 2019

La scelta di Arianna

A giugno 2018 ho terminato l’ultimo anno di liceo classico e mi sono trovata davanti ad un grande bivio: scegliere una facoltà ad esclusione oppure cercare un’esperienza lavorativa che potesse aiutarmi a capire e scoprire qualcosa in più di me stessa fuori dalla mia “comfort zone”.
Ho deciso così, durante l’estate, di cercare un progetto di volontariato in campo educativo o ambientale ed ho iniziato a mandare svariate candidature per progetti di Servizio Volontario Europeo (in Europa).
Tra le varie ricerche ho incontrato anche la possibilità del Servizio Civile Nazionale all’estero e, oltre alle candidature in ambito europeo, ho fatto domanda per un progetto in Madagascar non essendo richiesta nessuna competenza specifica, a parte la lingua francese.
Mi sono presentata poche settimane dopo nella sede della ONG di riferimento e non avendo io alcuna aspettativa a riguardo, ho messo in chiaro che probabilmente non ero la figura adatta a coprire il ruolo ricercato. Si era così chiuso per me il capitolo del Servizio Civile senza alcun rimorso.

E quindi come sono arrivata a fare parte di un progetto di Servizio Civile in Cameroun?!
Effettivamente tre mesi dopo la mia candidatura al servizio civile nessun bando SVE mi aveva richiamata: avevo cominciato a fare qualche lavoretto saltuario, mi ero avvicinata ad alcuni progetti nel sociale con gruppi di giovani di Bologna e stavo pensando di intraprendere a settembre 2019 un percorso universitario, insomma mi ero ricreata un nuovo quotidiano, anche se non era andata via la speranza di partire per un’esperienza all’estero.
Ero quindi in attesa dell’arrivo di un'esperienza ma non sapevo bene come orientarmi per trovarla.

Durante un breve soggiorno fuori casa, in un momento inaspettato, mi è arrivata una chiamata da un numero sconosciuto con il prefisso di Roma. Ho deciso, come di norma faccio, di richiamare il numero e la voce che mi ha risposto era quella di Monica, la responsabile di Servizio Civile per AVAZ, una ONG romana a me ignota, che mi chiedeva se ero disposta a partire e lasciare la mia quotidianità, i miei punti di riferimento le mie certezze e incertezze da ventenne, per imbarcarmi in una nuova avventura in terra africana.
Sono rimasta un po’ scossa sul momento: non era assolutamente nei miei piani di andare a vivere per un lungo anno in un posto tanto lontano e quindi ho chiesto a Monica qualche giorno per pensare alla proposta.
Sono andata subito a vedere cosa fosse Villaggio Fraternité e ho trovato il video delle ex-civiliste sul loro servizio civile che mi ha trasmesso una energia talmente positiva da farmi salire un sorriso naturale, facendomi immedesimare in quel posto del mondo che fino a venti minuti prima non sapevo neanche dove si collocasse.

Ho preso la decisione da sola, senza né la pressione né il supporto dei miei affetti e tuttora penso che ciò sia stato decisivo per la mia partenza.
La sera stessa, pensando e ripensando alla proposta, mi è salito un nodo tra la pancia e la gola, non so se dovuto più alla paura o più all’adrenalina che si era messa a circolare nel mio corpo dal momento della telefonata.
Ancora incredula, nell’etichetta della Yogy-tisana mi è apparsa una saggia frase  “Let things come to you” e un altro brivido mi è salito sulla schiena procurandomi un secondo sorriso.
A quel punto non ho atteso troppo e d’impulso ho scritto a Monica che ci saremmo risentite il giorno dopo ringraziandola per essere apparsa sul mio cammino.

Penso che potrei descrivere tutti i pensieri che mi sono passati velocemente in mente quella sera, che soprattutto resteranno impressi nella mia memoria, perché son stati talmente forti da portarmi a fare questa scelta radicale.
Con tantissima paura ho deciso di prendere questo treno che mi è passato un po’ all’impazzata e un po’ imprevedibilmente, ma che credo mi farà capire, con esperienze positive e negative, molte cose.
I vent’anni sono una fase difficile della persona, ancora non si sa niente del mondo e della vita e si ha questa carica immensa di energia che è difficile canalizzare. Sono anni di semina quanto di scoperta, di sondaggio del terreno fertile e di quello arido, con la speranza che i pochi strumenti acquisiti possano essere quelli giusti per discernere cosa è bene e cosa lo è meno.
Un augurio voglio fare all’Arianna che ritornerà dal suo anno africano: "Sappi apprezzare sempre ciò che hai, in qualsiasi parte del mondo tu sia, perché vorrà dire che saprai amare te stessa e questo ti darà il giusto gusto per apprezzare la Tua libertà".

Arianna Pedone

martedì 9 aprile 2019

La vigilia della partenza di Icaro

Sono all'inizio di un percorso: sono al tempo stesso emozionato e incuriosito all'idea di andare in un continente dove non sono mai stato, di capire e conoscere le usanze, lo stile e il modo di vivere di un popolo che immagino abbastanza diverso da quello a cui sono abituato.
Mi presento: mi chiamo Icaro Becherelli e sono nato il 07/03/1990 in Brasile.
Io non ricordo molto della mia infanzia ma sono stato molto fortunato. La mia famiglia mi ha dato gli strumenti per scegliere e mi ha lasciato libero, sia che si trattasse di decidere che sport fare sia a quale religione appartenere. Nello stesso tempo, attraverso le esperienze che mi hanno fatto vivere, ho cominciato a capire quello che è giusto e quello che è sbagliato, valorizzando il mio punto di vista.
Indubbiamente, le scelte che una persona fa sono molto condizionate dal tipo di società in cui vive, da quello che la comunità offre e dall'ambiente che frequenta.
Il mio desiderio più grande è quello di contribuire ad una società che possa formare le nuove generazioni attraverso strumenti culturali, aiutandole ad avere un “pensiero libero”, libero di scegliere cosa vogliono davvero e di capire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Secondo me è questo uno dei modi per far crescere le nuove generazioni con la consapevolezza di poter avere un futuro migliore.
Penso che l’Africa sia uno dei continenti più belli al mondo, anche se molti paesi hanno approfittato delle sue ricchezze attraverso le colonie e deportando in massa milioni di giovani rendendoli schiavi, impedendo uno sviluppo naturale di tutto il continente.
Da parte mia penso che svolgere attività di supporto, ai bambini, in un paese che ha sofferto così tanto possa essere una buona cosa e io la farò non solo applicando le competenze che ho maturato in oltre dieci anni in villaggi turistici in tutta Italia ma prevalentemente con il cuore.
Voglio essere sincero: io non sono un persona utopista che crede nella “pace del mondo” ma penso che se tutti noi dedicassimo una piccola parte del proprio tempo ad aiutare chi ha più bisogno vivremmo tutti meglio.
Non sottovaluto comunque le difficoltà che potrebbero nascere in questa mia esperienza: i primi tempi non sarà cosi facile integrami con il nuovo ambiente (non conosco la lingua, non ho mai vissuto in un clima tropicale e, non ultimo, il medico che mi ha fatto i vaccini mi ha presentato una situazione sanitaria difficile per un europeo). Inoltre, dovrò imparare a relazionarmi con un popolo con differenti tradizioni e usanze.
Quello con cui parto è tanto entusiasmo e la voglia di trasmettere la mia gioia di vivere e, perché no, la mia spensieratezza.
Non vedo l'ora di iniziare questa avventura: come dice una delle mie citazioni preferite “un lungo cammino, inizia sempre con un piccolo passo”.
Icaro Becherelli

martedì 2 aprile 2019

Alessandra racconta perché ha scelto di fare il Servizio Civile

Da anni pensavo alla possibilità di fare Servizio Civile all’estero, in particolare in Africa, e da altrettanti anni cercavo di mettere a tacere questa voce, dando spazio all’altra voce, quella più razionale che invece mi esortava a proseguire su sentieri battuti.
Malgrado non fosse la mia ambizione primaria, per diverse ragioni avevo deciso che l’ambito della ricerca (più consueto per una biologa), dovesse essere la strada più "giusta” rispetto a quella della cooperazione internazionale, che al contrario mi affascinava molto (e che un’esperienza come il servizio civile mi avrebbe consentito di conoscere da vicino, almeno per un anno). Avevo inoltre deciso di relegare ad un piccolo spazio della mia vita (il tempo libero per intenderci), l’attività del volontariato e più in generale lo spendersi per una giusta causa che invece mi aveva regalato tanti sorrisi.

Questa continua dicotomia interiore mi ha corroso per anni (e non poco), ma col senno di poi credo sia stata imprescindibile e in qualche modo propedeutica. Ho ripensato ai  momenti di felicità, a ciò che mi aveva fatto pulsare cuore, cervello e pancia, “sbrilluccicare” gli occhi e alle situazioni in cui le cose intorno a me si erano fermate per un attimo e aveva cominciato a risuonare nella mia testa quella canzone…
“Home - is where I want to be
But I guess I'm already there
[… ] Guess that this must be the place”
..tutti quei momenti erano legati all’attività di volontario (in Italia o all’estero) e quindi alla causa per cui stavo impiegando il mio tempo e le mie risorse e a ciò che era indissolubilmente legato a me. È allora che mi son detta che, dopo aver consultato un bravo psichiatra per via di quella canzoncina nella mia testa (scherzo!), avrei dovuto darmi l’opportunità di ripescare queste sensazioni e tutto ciò che aveva attivato il mio sistema emozionale e cognitivo e che semplicemente mi aveva fatto sentire viva.

Dopo una attenta ricerca per la scelta del progetto per cui fare domanda, ho ristretto il campo ad un paio di ONG ed infine sono approdata ad AVAZ a cui ho consegnato la domanda di servizio civile personalmente. Ho conosciuto parte dei responsabili, mi sono lasciata contagiare dalla loro genuinità ed affascinare dalla dimensione seria e familiare di una ONG attiva con grande impegno da circa 30 anni...  e non ho potuto fare a meno di (ri)pensare “this must be the place”.

Si sono poi succeduti: il colloquio (che google maps mi avrebbe fatto svolgere nella bottega solidale di AVAZ), la graduatoria (evvaiiii, sono dentro!) e il corso di formazione pre-partenza nel polo di Catania. Quest’ultimo ha rappresentato l’occasione di conoscere ragazze e ragazzi con tante storie e tanto coraggio, di incontrare casualmente (o causalmente) “affinità elettive” e di conoscere formatori (ma prima di tutto anime belle) dotati di grinta e competenze. Tutto questo mi ha trasmesso molta carica e mi ha permesso di riascoltare la stessa canzoncina nella mia testa... e soprattutto mi ha fatto pensare a quanto sia giusta quella frase che dice “la caverna in cui temi di entrare contiene il tesoro che cerchi”, al pericolo nel rimanere fermi, al coraggio delle scelte, alla forza dell’azione.

E... se il tempo non portasse via con sé anche elasticità e turgore della pelle, credo proprio che mi tatuerei sulla schiena e a caratteri cubitali qualche frase:
“Scegli il coraggio oltre il comfort.
Scegli cuori aperti invece di armature.
E scegli la grande avventura di essere coraggioso e impaurito. Allo stesso tempo” (Brené Brown).

Alessandra Adduci

martedì 26 marzo 2019

Elisabetta racconta perché ha scelto di fare il servizio civile


Mi chiamo Elisabetta, ho 21 anni e sono nata e cresciuta a Roma. Studio Lingue e Culture Straniere, in particolare spagnolo e francese. Ho iniziato ad appassionarmi alle lingue quando andavo alle medie perché ho iniziato a studiare spagnolo. Lo spagnolo occupa una parte molto importante nella mia vita, sia perché i miei studi dopo la scuola media sono stati scelti in funzione di questa lingua, sia perché è in parte causa di un momento di crisi che mi ha portato poi a scegliere di presentare domanda per il Servizio Civile.

Nell’estate 2017 ho dato il mio primo esame di spagnolo all’università, ma purtroppo sono stata bocciata. Questo ha scaturito in me molti pensieri negativi, dettati soprattutto dall’insicurezza, che mi hanno bloccato per un anno intero. Un anno in cui mi sono sentita persa, in cui non sapevo bene cosa fare o dove andare. Non ero motivata, ma sentivo il bisogno di impegnarmi in un qualcosa che mi facesse stare bene, che mi aiutasse ad uscire dal groviglio di negatività in cui ero entrata. Così a Settembre ho deciso di fare domanda per il Servizio Civile con l’obiettivo di impegnarmi in un progetto che mi desse tante emozioni e per iniziare a sciogliere il groviglio che avevo dentro.

Sono venuta a conoscenza del progetto di Avaz tramite i miei genitori perché conoscono alcuni volontari dell’associazione. Il progetto di Educazione allo Sviluppo mi ha incuriosito fin da subito perché mi ha un po’ ricordato quello che facevo nella mia parrocchia come educatrice di Azione Cattolica. La scelta di fare domanda per il Servizio Civile unita a quella di iniziare una terapia dalla psicologa, sono stati i primi passi che ho mosso verso me stessa.

Devo ammettere che ero molto preoccupata quando sono partita per la formazione generale per il Servizio Civile che si è tenuta a Catania, sia perché non avevo una preparazione sulle ONG e sulla Cooperazione, sia perché sono timida e faccio fatica a relazionarmi con gli altri. Ho iniziato la settimana con la voglia di piangere per la paura e l’ho finita allo stesso modo perché non volevo finisse così presto. È stata una settimana piena di emozioni, ho imparato cose nuove e soprattutto mi sono messa in gioco. Ero l’unica della mia ONG e questo mi spaventava. Per fortuna ho conosciuto delle persone fantastiche che mi hanno accolto facendomi sentire a casa. Ho scoperto quanto sia importante creare dei legami con chi ci sta intorno perché solo così possiamo essere sereni e vivere bene. Esco da questa settimana di formazione piena di energia.

Da quest’anno mi aspetto di ricevere tante emozioni. Sarà un anno in cui metterò tutta l’energia ricevuta dalla settimana di formazione e spero solamente di svolgere a pieno il mio ruolo.
Qual è il mio ruolo? Io sono una volontaria e come volontaria ho il compito di creare una rete di tessitori, una rete di persone che come dei fili s’intrecciano tra di loro dando vita a un qualcosa di unico, colorato e forte, tanto forte.

Elisabetta De Angelis