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giovedì 27 febbraio 2020

Scoiattoli alle noci


C’è un vecchio film in cui il tizio dice alla fanciulla:
“... è strano, lei non sembra essere inibita… allora perché ha pensato di essere fuori posto? Nessuno può dirle qual è il suo posto... dove è il mio posto? Dove è il posto degli altri? Glielo dico io dove è. Dove lei è felice, lì è il suo posto.”

Ecco, posso dire che nella seconda metà del servizio civile, poiché le circostanze hanno fatto sì che l’esperienza procedesse secondo una direzione diversa rispetto a quella con cui era iniziata, mi sono interrogata diverse volte; dapprima per capire quale fosse il “mio posto” a Villaggio Fraternité, in quella piccola città a sud del Camerun (Sangmelima) e poi in generale se quel “posto” potesse essere nel mondo della cooperazione, che tanto mi aveva affascinato.
Per la seconda questione ho pensato di procrastinare momentaneamente la risposta, mentre per la prima ho deciso che la scelta migliore sarebbe stata quella di cercare di adattarsi, di essere flessibile e di trovare una nuova collocazione in quel contesto; ho perciò cominciato a correre (metaforicamente e letteralmente) ovunque ci fosse necessità e a svolgere qualsivoglia compito mi venisse assegnato, cercando di farlo sempre al meglio. 
A Villaggio avrei potuto fare certamente molto di più, ma poiché ho imparato ad essere un po’ meno severa con me stessa, posso dire che va bene così; in generale ho cercato di “profiter”: ho viaggiato “in solitaria” e in gruppo (adottata da dolcissime civiliste di un’altra ONG) e questo mi ha consentito di trarre il meglio sia dalla condivisione con altre persone che dallo star soli; in quest’ultima occasione ho scoperto una nuova sensazione di libertà. Mi sono lasciata trasportare da ciò che la realtà mi proponeva e ad un certo punto ho cominciato ad agire con più leggerezza, io che viaggio da sempre con pesantissime zavorre... e mi sono resa conto di questo piccolo ma grande mutamento che il Camerun aveva prodotto. Questo Camerun amato/odiato in un’altalena emotiva durata un anno.

È finita e come nei film alla fine sullo schermo nero scorrono i titoli di coda e i ringraziamenti alle persone che vi hanno partecipato.
Villaggio: un luogo speciale, una scuola unica e una vera e propria casa per tante persone, adulti e bambini.
La mia famiglia AVAZ a Roma e a Sangmelima. Gli chefs, amici e fratelli prima ancora che guide: hanno ascoltato i miei pensieri confusi e tentato di dare delle risposte; mi hanno sostenuto e supportato in plurime circostanze, mi hanno stimolato e attraverso conversazioni maieutiche mi hanno permesso di tirar fuori pensieri e riflessioni impolverati che per mia natura fanno fatica ad emergere; le loro splendide compagne hanno capito i miei complessi e le mie insicurezze e hanno “lavorato” in silenzio per ridimensionarli.
I miei piccoli coinquilini con cui sono cresciuta anche io, due bimbetti speciali che con abbracci e riflessioni “adulte” mi hanno conquistata (nonostante pianti e sveglie all’alba) e commosso, bussando al mio cuore duro.
Gli amici, alcuni dei quali sono diventati persone di cui mi sono fidata, io, sfiduciata per natura. Mi hanno accolta, integrata, aiutata ed io ho tentato di fare lo stesso nel mio piccolo.
Le mie sorelle: una ex volontaria, un’esplosione di carica, un arcobaleno dopo le piogge torrenziali camerunesi, diventata la complice che mi ha traghettato davvero fino alla fine (accompagnandomi in aeroporto) e una suora speciale, la compagna di viaggio degli ultimi sei mesi dal sorriso aperto e dalle braccia accoglienti, sempre pronta a dispensare consigli e adorabili quotidiane prese in giro. 
Chi si è affacciato sul percorso un po’ per caso, chissà...
Chi ha contribuito a farmi apprezzare questa cultura diversa, a farmi capire che non bisogna arrendersi anche quando tutto suggerirebbe di spegnersi.
Chi rimarrà nonostante le distanze.
A tutti loro va un sincero grazie!

Infine a chi mi chiederà nei prossimi giorni perché non si resta semplicemente in Italia, perché si parte per terre lontane, credo citerò sempre lo stesso vecchio film in cui il solito tizio dice che c’è gente che va al parco a dare noci agli scoiattoli perché farlo le rende felici. Ma alla fine, scoprire che ti rende più felice dare scoiattoli alle noci, va bene lo stesso.

Alessandra


mercoledì 18 settembre 2019

16 modi di dire…Camerun

Eccomi (déjà) a scrivere l'articolo di metà servizio, durante la pausa estiva nella mia terra natale, in spiaggia, e sulle note delle canzoni ascoltate/ballate in questi mesi e che ho deliberatamente deciso di continuare ad ascoltare sotto l'ombrellone. Le parole, estrapolate dai testi talvolta monotematici e a cui poi ho attribuito un personale significato, risuonano ancora nella mia mente al punto che continuo a canticchiarle e addirittura citarle neanche provenissero dallo Zibaldone. Con questo sottofondo musicale, bizzarramente ispirante, ho deciso così di riportare i pensieri attraverso un indefinito flusso di coscienza e senza una riorganizzazione logica (espressione del caos che ancora vige nella mia testa).

1.Il francese, una delle due lingue ufficiali parlate in Camerun, che ha rappresentato per me una barriera comunicativa e per cui ho provato un po' di frustrazione non parlandolo correntemente, è un tantino migliorato al punto che riesco a carpire frasi di senso compiuto dalle canzoni (le grandi conquiste!);

2.Le barriere personali, che, ahimè (?), mi sono abilmente costruita negli anni per la diffidenza verso questo mondo “brutto sporco e cattivo", sono state abbattute in maniera parziale e mooolto lenta. Tuttavia, penso di averne costruite altre per schermare gli immancabili pensieri negativi affacciatisi di tanto in tanto nei momenti di difficoltà, e la melma che inevitabilmente anche gli altri possono spalmarti addosso;

3. Sangmélima, paese a sud del Camerun in cui vivo da po' di mesi a questa parte, in fondo, non è poi così diversa dalla città in cui ho abitato per anni… non solo per le strade dissestate, per la dimensione di paese in cui tutti sembrano conoscere le storie di tutti (come me in questo momento con il mio vicino di ombrellone) ma anche per la corruzione, che qui in Camerun ha certamente un retrogusto più intenso e rappresenta una delle ragioni che ne impedisce lo sviluppo e la crescita economica;

4.Lo spaesamento e la confusione: quella che sto provando qui al rientro in Italia, quella provata non appena atterrata in Camerun in aeroporto a Yaoundé, quella iniziale all'interno del progetto e infine quella immancabile nella testa e nel cuore;

5.Le persone incontrate... gli infaticabili ammiratori di una “bianca” a caso che lo stereotipo e il retaggio culturale, ahimè, vede ancora così desiderabile e la conseguente difficoltà nel discernere l'interesse “disinteressato” da quello “reale”; i volontari giapponesi, francesi, americani che hanno reso l'esperienza più “internazionale”; gli amici camerunesi che hanno tentato di integrarmi;

6.La foresta equatoriale… i paesaggi attraversati, gli skyline bucolici durante i tramonti caldi e fugaci, le lucciole fuori casa che di sera si accendono e le stelle in alto che illuminano Villaggio nel buio avvolgente;

7.Villaggio Fraternité… un progetto attivo da molteplici anni, una scuola materna e primaria con un centro di accoglienza per i bambini socialmente più vulnerabili…i bambini appunto... l'affetto incondizionato dei più piccoli che consentono un inizio di giornata sempre con un grande sorriso dal retrogusto talvolta amaro; i dipendenti di cui finalmente conosci tutti i nomi e il progetto che funziona così bene al punto da chiederti cosa altro si può fare per perfezionarlo ancora;

8.E poi ancora… la corrente che salta puntualmente quando hai deciso di caricare il telefono;

9.Le moustiques e l'antizanzare, divenuto l'immancabile prodotto da borsetta;

10.La danza e il ritmo africano, i tabù infranti (i miei e quelli della società in cui ti trovi);

11.Il disfacimento delle proprie sicurezze, il mettersi in discussione ogni giorno, il grado di tolleranza innalzatosi di un bel po';

12. Le mancanze, non quelle fasulle, dettate dalla distanza e dalla solitudine ma quelle profonde... di pochi ovviamente. La difficoltà nel partecipare da lontano ai cambiamenti che sono avvenuti nel corso di questi mesi ai tuoi cari, a cui ho assistito apparentemente inerme;

13.Quelle fatidiche e lecitissime domande “come è?” “come ti trovi?” o le più terribili “ ma chi te lo fa fare?!" ecc. ecc. Rispondere mi sembra a tratti faticoso, perché fornire un quadro fedele alla realtà vissuta, non è facile e soprattutto occorre che a tali domande debba rispondere prima io che sto rimettendo insieme i pezzi e tentando di fare un bilancio dei miei primi 6 mesi;









14.I "ça va aller" dedicati in momenti di disagio, che all'inizio detestavo poiché mi sembrava sollevassero l’interlocutore dalla possibilità di donarti conforto con altre parole... E che poi, cogliendone meglio il senso, ho imparato ad apprezzare;

15.La vicinanza emotiva (e anche fisica dati i pochi meridiani che ci separano) di colleghi in servizio civile che il caso ha voluto facessero la stessa esperienza altrove;

16. Gli appellativi urlati per strada mentre passeggi nella tua pelle (la blanche, la wat o mtangan nella lingua locale: il bulu), il fastidio provato nonostante l’accezione diversa di questi ultimi rispetto a quelli proferiti in occidente verso "lo straniero" che aborri con motivato sdegno... e il pensiero che il linguaggio e la parola, privilegi esclusivamente umani, possano ferire cosi tanto. E ancora… quanto i pregiudizi siano (ahimè bidirezionalmente) duri a morire... e la consapevolezza che quella splendida "diversità", che risiede soltanto nello 0.1% dei geni di cui disponiamo (essendo il genere umano per il restante 99.9% geneticamente uguale), è stata resa dalla storia non una ricchezza ma quasi un disvalore.

Insomma... tipici pensieri da spiaggia che ricorrono ascoltando simpatiche canzoncine. Il tempo per metabolizzare il tutto non è sufficiente, perché presto si ritornerà lì e poi in fondo… perché farlo ora?! l'esperienza non è ancora finita! Così, mentre mangio l'ennesimo gelato triplo cioccolato che tanto mi è mancato, scrutando l’orizzonte, mi accorgo che quello che vedo in lontananza, nella foschia, non è il Gargano ma ancora il (mio) Camerun.

Arrivo!!!

Alessandra




giovedì 27 giugno 2019

La nostra Ecolensemble in Senegal ha festeggiato la fine del primo anno scolastico

In Senegal, in prossimità della chiusura delle attività didattiche e da ben 31 anni, si celebra la Settimana Nazionale del Bambino a ricordo e sostegno della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Bambini. I festeggiamenti cominciano il 16 Giugno in concomitanza con la Giornata Internazionale del Bambino Africano. Questa celebrazione, istituita dall'Organizzazione per l'Unità Africana e dalle Nazioni Unite, ricorda e onora la memoria delle vittime della marcia avvenuta nel 1976 a Soweto, in Sudafrica, in cui migliaia di studenti manifestarono per protestare contro il decreto governativo che introduceva l’afrikaans, la lingua dei bianchi segregazionisti, nonché simbolo del regime dell'apartheid, come lingua ufficiale d’insegnamento.

I bambini della nostra nuovissima scuola costruita a Jaxaay, nella periferia di Dakar, hanno inaugurato la loro Settimana Nazionale del Bambino festeggiando proprio la Giornata del Bambino Africano. Le attività, che hanno visto la presenza di autorità locali, rappresentanze di altre Organizzazioni della Società Civile italiane e internazionali (WORD VISION, CISV, GREENCROSS) e naturalmente la partecipazione della popolazione, sono cominciate al mattino con la marcia in ricordo delle vittime di Soweto. I bambini, insieme a quelli di un’altra scuola vicina, hanno camminato per le vie della cittadina, mostrando orgogliosi lo striscione con su scritto il tema della Giornata del Bambino Africano 2019: “L’azione umanitaria in Africa: i diritti dei bambini prima di tutto”. Una volta ritornati a scuola la festa è entrata nel vivo grazie agli sketch preparati dalle due scuole ed alla performance del comico DADA e della sua marionetta danzante a forma di scimmietta. Un piccolo rinfresco ha chiuso l’evento tra i sorrisi e le danze.



Il 20 Giugno la nostra scuola è stata invitata dal Ministero della Famiglia, della Donna e della Protezione dei Bambini e dalla Ong WORD VISION, presso il Gran Teatro Nazionale di Dakar all’evento di chiusura delle attività della Settimana Nazionale del Bambino.  All’avvenimento, di grande impatto mediatico e simbolico, sono state invitate circa 24 scuole, pubbliche e private, per un totale di circa 1000 bambini, che hanno riempito tutti i posti della platea e della tribuna del bellissimo teatro. Presenti inoltre, molti membri del suddetto ministero, l’UNICEF e tutte le grandi Ong internazionali attive in Senegal nella protezione dell’infanzia (SAVE THE CHILDREN, PLAN INTERNATIONAL, CHILD FOUND, SOS VILLAGGIO DEI BAMBINI ed altre).
I bambini della nostra scuola, acclamati dal pubblico, sono stati i primi a salire sul palco e a recitare il loro sketch a tema. Sono seguiti recite, poesie, canti e balli, per circa due ore di spettacolo. Al termine, sono stati consegnati i diplomi di riconoscimento e la nostra ST. JUDE ECOLENSEMBLE, grazie all’impegno dei bambini e delle nostre valide insegnanti Madame SAMBOU Marie Jeanne SADIO e Madame LOPPY Angélique Marie Michelle SADIO, ha ricevuto un diploma di merito.
Il discorso di chiusura del viceministro ha infine lasciato spazio al famoso rapper DIP, sostenuto dai calorosi cori del pubblico.




Sono stati giorni ricchi di sorrisi e speranze che ci hanno fatto ancora una volta riflettere sull’importanza dei diritti dei bambini in Senegal e nel mondo.

La nostra scuola St. Jude Ecolensemble ha partecipato attivamente e con vivacità, chiudendo magnificamente il suo primo anno scolastico in Senegal.

Come si dice: “Chi ben comincia…”.
BUONE VACANZE A TUTTI!
Michele Garramone, Resp. Progetto Senegal e Rappresentante Paese

Per maggiori informazioni visita la pagina del progetto AVAZ  Ecolensemble

martedì 9 aprile 2019

La vigilia della partenza di Icaro

Sono all'inizio di un percorso: sono al tempo stesso emozionato e incuriosito all'idea di andare in un continente dove non sono mai stato, di capire e conoscere le usanze, lo stile e il modo di vivere di un popolo che immagino abbastanza diverso da quello a cui sono abituato.
Mi presento: mi chiamo Icaro Becherelli e sono nato il 07/03/1990 in Brasile.
Io non ricordo molto della mia infanzia ma sono stato molto fortunato. La mia famiglia mi ha dato gli strumenti per scegliere e mi ha lasciato libero, sia che si trattasse di decidere che sport fare sia a quale religione appartenere. Nello stesso tempo, attraverso le esperienze che mi hanno fatto vivere, ho cominciato a capire quello che è giusto e quello che è sbagliato, valorizzando il mio punto di vista.
Indubbiamente, le scelte che una persona fa sono molto condizionate dal tipo di società in cui vive, da quello che la comunità offre e dall'ambiente che frequenta.
Il mio desiderio più grande è quello di contribuire ad una società che possa formare le nuove generazioni attraverso strumenti culturali, aiutandole ad avere un “pensiero libero”, libero di scegliere cosa vogliono davvero e di capire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Secondo me è questo uno dei modi per far crescere le nuove generazioni con la consapevolezza di poter avere un futuro migliore.
Penso che l’Africa sia uno dei continenti più belli al mondo, anche se molti paesi hanno approfittato delle sue ricchezze attraverso le colonie e deportando in massa milioni di giovani rendendoli schiavi, impedendo uno sviluppo naturale di tutto il continente.
Da parte mia penso che svolgere attività di supporto, ai bambini, in un paese che ha sofferto così tanto possa essere una buona cosa e io la farò non solo applicando le competenze che ho maturato in oltre dieci anni in villaggi turistici in tutta Italia ma prevalentemente con il cuore.
Voglio essere sincero: io non sono un persona utopista che crede nella “pace del mondo” ma penso che se tutti noi dedicassimo una piccola parte del proprio tempo ad aiutare chi ha più bisogno vivremmo tutti meglio.
Non sottovaluto comunque le difficoltà che potrebbero nascere in questa mia esperienza: i primi tempi non sarà cosi facile integrami con il nuovo ambiente (non conosco la lingua, non ho mai vissuto in un clima tropicale e, non ultimo, il medico che mi ha fatto i vaccini mi ha presentato una situazione sanitaria difficile per un europeo). Inoltre, dovrò imparare a relazionarmi con un popolo con differenti tradizioni e usanze.
Quello con cui parto è tanto entusiasmo e la voglia di trasmettere la mia gioia di vivere e, perché no, la mia spensieratezza.
Non vedo l'ora di iniziare questa avventura: come dice una delle mie citazioni preferite “un lungo cammino, inizia sempre con un piccolo passo”.
Icaro Becherelli

martedì 2 aprile 2019

Alessandra racconta perché ha scelto di fare il Servizio Civile

Da anni pensavo alla possibilità di fare Servizio Civile all’estero, in particolare in Africa, e da altrettanti anni cercavo di mettere a tacere questa voce, dando spazio all’altra voce, quella più razionale che invece mi esortava a proseguire su sentieri battuti.
Malgrado non fosse la mia ambizione primaria, per diverse ragioni avevo deciso che l’ambito della ricerca (più consueto per una biologa), dovesse essere la strada più "giusta” rispetto a quella della cooperazione internazionale, che al contrario mi affascinava molto (e che un’esperienza come il servizio civile mi avrebbe consentito di conoscere da vicino, almeno per un anno). Avevo inoltre deciso di relegare ad un piccolo spazio della mia vita (il tempo libero per intenderci), l’attività del volontariato e più in generale lo spendersi per una giusta causa che invece mi aveva regalato tanti sorrisi.

Questa continua dicotomia interiore mi ha corroso per anni (e non poco), ma col senno di poi credo sia stata imprescindibile e in qualche modo propedeutica. Ho ripensato ai  momenti di felicità, a ciò che mi aveva fatto pulsare cuore, cervello e pancia, “sbrilluccicare” gli occhi e alle situazioni in cui le cose intorno a me si erano fermate per un attimo e aveva cominciato a risuonare nella mia testa quella canzone…
“Home - is where I want to be
But I guess I'm already there
[… ] Guess that this must be the place”
..tutti quei momenti erano legati all’attività di volontario (in Italia o all’estero) e quindi alla causa per cui stavo impiegando il mio tempo e le mie risorse e a ciò che era indissolubilmente legato a me. È allora che mi son detta che, dopo aver consultato un bravo psichiatra per via di quella canzoncina nella mia testa (scherzo!), avrei dovuto darmi l’opportunità di ripescare queste sensazioni e tutto ciò che aveva attivato il mio sistema emozionale e cognitivo e che semplicemente mi aveva fatto sentire viva.

Dopo una attenta ricerca per la scelta del progetto per cui fare domanda, ho ristretto il campo ad un paio di ONG ed infine sono approdata ad AVAZ a cui ho consegnato la domanda di servizio civile personalmente. Ho conosciuto parte dei responsabili, mi sono lasciata contagiare dalla loro genuinità ed affascinare dalla dimensione seria e familiare di una ONG attiva con grande impegno da circa 30 anni...  e non ho potuto fare a meno di (ri)pensare “this must be the place”.

Si sono poi succeduti: il colloquio (che google maps mi avrebbe fatto svolgere nella bottega solidale di AVAZ), la graduatoria (evvaiiii, sono dentro!) e il corso di formazione pre-partenza nel polo di Catania. Quest’ultimo ha rappresentato l’occasione di conoscere ragazze e ragazzi con tante storie e tanto coraggio, di incontrare casualmente (o causalmente) “affinità elettive” e di conoscere formatori (ma prima di tutto anime belle) dotati di grinta e competenze. Tutto questo mi ha trasmesso molta carica e mi ha permesso di riascoltare la stessa canzoncina nella mia testa... e soprattutto mi ha fatto pensare a quanto sia giusta quella frase che dice “la caverna in cui temi di entrare contiene il tesoro che cerchi”, al pericolo nel rimanere fermi, al coraggio delle scelte, alla forza dell’azione.

E... se il tempo non portasse via con sé anche elasticità e turgore della pelle, credo proprio che mi tatuerei sulla schiena e a caratteri cubitali qualche frase:
“Scegli il coraggio oltre il comfort.
Scegli cuori aperti invece di armature.
E scegli la grande avventura di essere coraggioso e impaurito. Allo stesso tempo” (Brené Brown).

Alessandra Adduci

martedì 27 novembre 2018

La missione

Se pensate di partire ed essere dei turisti che si mettono ad esplorare il paese o dei volontari che devono fare solo per dare agli altri, vi state sbagliando alla grande!
Se pensate di partire per andare a salvare il mondo perché state andando in Africa tra i poveri o perché potete aiutare quelli meno fortunati di voi, anche qui non fate che sbagliarvi.
Se soprattutto pensate di partire pieni di aspettative o con la certezza di trovare risposte alle tante domande che vi ponete o ancora volete andare a realizzare i vostri sogni, siete sempre nella direzione sbagliata.
Il servizio civile è semplicemente l’occasione di vivere dodici mesi di vita in una realtà totalmente diversa, ma sono dodici mesi della TUA vita che fanno la differenza se vissuti a cuore aperto.
Sono partita ed arrivata in terra africana con l'entusiasmo di 'voler fare missione'. Giorno dopo giorno sono poi però iniziate le difficoltà. Subito ho abbandonato l'idea di 'voler fare missione' iniziando a vivere semplicemente come facevo in Italia. Negli ostacoli e nei pianti, nelle sorprese e nell'Amore ho poi capito che non dovevo solo concentrarmi sul 'voler fare' ma piuttosto fare quello che sentivo e lasciare che la missione mi plasmasse.

Passo dopo passo, anche se lentamente, ho iniziato a scoprire e conoscere, incontrare gli altri e rincontrare me stessa. Passo dopo passo ho sentito come il Signore mi sia sempre stato accanto e come ogni giorno mi dia le forze per vivere al meglio questa avventura che è la vita.
Ho capito che il mio 'voler fare missione' non era altro che puro egoismo per ricevere in cambio riconoscenza; ma il Signore vede ciò che facciamo senza che qualcuno debba mostrarci ogni volta gratitudine. Ho capito che il mio 'voler fare missione' non era altro che l'entusiasmo del partire e andare verso l'Altro, senza offrire all'Altro, davanti a me e diverso da me, l'opportunità di venirmi incontro. Ho capito che il mio 'voler fare missione' era vero e sentito, ma anche un po' sporco perché pieno di 'voglio'.
Ed è stato negli abbracci profondi con le persone, nei sorrisi grandi e negli occhi vivi e illuminati dei bambini, nelle mani che non ti lasciano, nei piedi che camminano al tuo fianco, che ho trovato il vero ossigeno del cuore della foresta equatoriale.
Un’aria diversa che ti fa battere il cuore quando vedi gli occhi di un bambino felici di tornare a scuola per rivederti e correrti incontro scendendo dallo scuola-bus e abbracciarti, per ricominciare assieme il Centro d’Accoglienza e poter giocare e ridere con Tata Ilaria.
Ti fa battere il cuore quando, nonostante la difficoltà di due metodi educativi e due modi di pensare differenti, riesci a trovare un punto d’incontro con gli educatori di Villaggio Fraternité e assieme a dar vita a qualcosa di nuovo e specifico per undici bambini di uno o due anni.
Un’aria diversa che ti fa battere il cuore quando i pianti dei piccoli della pre-maternelle si trasformano in sorrisi e gioia di voler stringerti la mano per camminare al tuo fianco; quando cantano contenti le canzoncine per andare in classe, quando si buttano tra le tue braccia urlando “NTOOO” (che nella lingua locale, il Bulu, significa “abbraccio”) o ancora quando imparano a dire “presente”, a chiedere “per favore” e dire “grazie”. 
Ancora, quando vedi qualcuno star molto male e con una semplice visita a casa e stringendole la mano riesci a donarle un sorriso e la forza per riprendersi.
Ti fa battere il cuore quando i bambini del Centro d’Accoglienza ti chiedono se il laboratorio di scrittura creativa ricomincia anche quest’anno e se arriverà presto il libro che hanno creato.
Un’aria diversa quando sperimenti sulla tua pelle la grandezza della Fede che va al di là delle diversità religiose e apre le braccia a tutti indistintamente, che fa incontrare cristianesimo e islam in un unico grande amore, testimoniando come questo sia unico immenso dono di Dio, superando ogni pregiudizio. 
E allora, non c'è gioia più grande, non c'è sorriso più vero, non c'è amore più reale di quello di aver capito che non bisogna voler 'fare missione' perché la missione si fa da sé, perché la missione si vive, perché è la missione che fa la persona.
Ilaria Tinelli

venerdì 23 novembre 2018

Il coraggio


Se i primi sei mesi di Servizio Civile è stato faticoso e difficile adattarsi, gli ultimi sei si sono susseguiti uno dopo l’altro senza che nemmeno me ne rendessi conto. Le due settimane trascorse in Italia durante il rientro di metà servizio mi sono servite per fare una sorta di bilancio della prima parte della mia esperienza. Sono quindi tornata a giugno carica e pronta a mettermi in gioco ancora di più, spinta da quella sensazione di aver lasciato indietro delle cose, e che quella sarebbe stata l’ultima opportunità per farle. Per raccontarle tutte non basterebbe un articolo.

Concludo il mio servizio Civile con la consapevolezza che forse non avrò lasciato una grande impronta a livello progettuale, ma so di averla lasciata nel cuore di alcuni. Di Giovanni, che adesso viene a cercare la sua maestra d’inglese dicendomi “Tata, Tata, Sono arrivato primo della classe!”; di Flora, che nonostante sia già al liceo, ogni volta che vado a portarle un libro mi saluta con un dolcissimo abbraccio; di Ma’a Marie , che mi vuole bene come se fossi sua nipote; di Bernadette e Benjamain, che ogni volta che vado a far loro visita hanno sempre un piatto pronto per me. So che tutti loro e altri, si ricorderanno sempre di Tata Francesca. Ma ciò di cui non si rendono conto è di quanto loro hanno trasmesso a me e che per questo li ringrazierò per sempre. Mi porterò sempre nel cuore quello che mi hanno insegnato, per esempio a vivere la vita con più leggerezza e coraggio.

Ho anche acquisito un’altra consapevolezza, ovvero che il Cameroun è un paese che ha compreso quanto l’educazione sia importante per crescere un popolo in grado svilupparsi. C’è ancora molto lavoro da fare in questo senso e Villaggio Fraternité, in una piccola comunità come quella di Sangmelima, rende possibile a dei bambini, che altrimenti non ne avrebbero la possibilità, di diventare dei giovani intelligenti e responsabili. Sono orgogliosa di aver dato il mio contributo, anche se minimo, a questo progetto.


Negli ultimi giorni a Villaggio mi sono sentita avvolta da un forte sentimento di nostalgia. Mi sono resa conto che non vedrò i bimbi della materna passare dalla divisa rossa a quella blu della primaria, non andrò più a fare la spesa al mercato di Sangmelima, non sarò più in ufficio pronta a dare una matita a chi ha già finito la propria e non vedrò più il prugno davanti casa carico di frutti. Villaggio Fraternité e Sangmelima sono state la mia famiglia e la mia casa in quest’ultimo anno e mi rattrista molto dover salutare quella che ormai era diventata la mia quotidianità.



 Spero che il mio saluto sia soltanto un “arrivederci, a presto”  e che di tanto in tanto avrò l’opportunità di passare a Villaggio e vedere come i bambini e i girasoli siano cresciuti e sentirmi fiera di ciò.

Francesca Bucaletti

mercoledì 21 novembre 2018

Il tempo

L’ultima volta che ho preso carta e penna per raccontare questa esperienza era maggio, a metà servizio. Mi sembra ieri eppure sono già passati sei mesi. Ho riflettuto su questa cosa e mi sono chiesta: “Perché da Dicembre a Maggio il tempo è passato così lento e negli ultimi sei mesi invece è come se il tempo non ci fosse stato?". 
Mi sono svegliata una mattina e ho realizzato che dopo una settimana sarei rientrata in Italia.

Il tempo è un concetto tanto astratto quanto indispensabile per l’uomo.
In tutto il mondo una giornata è fatta di ventiquattro ore, un’ora di sessanta minuti e un minuto di sessanta secondi; eppure nella quotidianità di ognuno di noi è così relativo!
Ci sono giornate che ti sembrano non finire mai e altre che passano senza che nemmeno te ne accorgi. Se questo è quello che succede nel nostro piccolo, la stessa relatività la possiamo trovare nel confronto di culture diverse.

In base all’esperienza di Servizio Civile che ho svolto quest’anno a Sangmélima, nel Sud del Camerun, posso azzardarmi a dire “Paese che vai, tempo che trovi”.
In Italia, forse in Europa, il tempo esiste indipendentemente dall’uomo e le attività dell’uomo sono scandite dal tempo. L’uomo dipende dallo scorrere del tempo: c’è un orario per svegliarsi, uno per mangiare, uno per dormire; appuntamenti fissati con il dentista, la parrucchiera, il commercialista. L’orologio è sul nostro polso e siamo ossessionati da quelle lancette che avanzano e ci ricordano che a quell’ora succederà quella certa cosa.

A Sangmélima non è così, a Sangmélima è il tempo a essere dipendente dall’uomo; è l’uomo che con le sue attività controlla e dirige il tempo. Il tempo si modella in base a ciò che l’uomo fa.


Ed ecco quindi che tu italiana, oltretutto proveniente da Milano dove le persone non solo sono dipendenti dal tempo ma lo rincorrono, ti trovi spaesata.
Sei al mercato e ti fermi a parlare un po’ con la signora che ti vende la verdura e lei al tuo arrivederci risponde “Aprés” (a dopo) e nella tua testa inizi a pensare “A dopo quando? Forse le ho detto qualche cosa di sbagliato in francese. Ma poi, dove ci dovremmo vedere dopo? A che ora? Non ho il suo numero di telefono per metterci d’accordo” e alla fine capisci che è solo un modo di dire “Ci rivediamo”, ma non è necessario stabilire il dove e il quando.
Vai al ristorante e ordini da mangiare. Dopo mezz’ora chiedi “Ma tra quanto tempo sarà pronto?” e la risposta è “È già pronto”. Il mangiare arriva poi dopo un’altra mezz’ora.
Hai un appuntamento con un amico alle tre e sono le tre e mezza, lo chiami per chiedergli dove si trova e lui ti risponde “Sono già là”, ti giri a cercarlo e non c’è. Arriva dopo un’oretta: stava riposando, era stanco. Sali sull’autobus e chiedi a che ora partirà. “Quando l’autobus sarà pieno”, è la risposta.

All’inizio tutto questo è snervante, ti arrabbi e loro nemmeno capiscono perché. È normale che il cibo arriverà quando sarà pronto, è normale che se sei stanco prima di uscire riposi un po’ ed è normale che l’autobus parta quando è pieno. E allora impari, non programmi niente nemmeno tu, non solo non ti arrabbi più per i ritardi ma senza accorgertene inizi ad arrivare anche tu in ritardo agli appuntamenti. Senza rendertene conto lasci scorrere il tempo proprio come fanno loro.

Grazie a questo il Camerun mi ha fatto vivere un sentimento di libertà, di tranquillità.
Noi occidentali vantiamo tanto le nostre libertà e nessuno mette in dubbio gli sviluppi che siamo riusciti a raggiungere in quanto a diritti dell’essere umano, emancipazione, libertà religiose ecc..
Ma la libertà di vivere tranquilli? La rincorsa al tempo ci impedisce di entrare in contatto con noi stessi, con i nostri limiti e i nostri desideri. Siamo ossessionati da una vita fatta di obiettivi da raggiungere e il presente ci sfugge dalle mani. E così ci ritroviamo tutti in analisi, stressati, sfiancati da una vita che non ci appartiene.


Tante cose mi hanno insegnato l’Africa, il Camerun, Sangmélima, ma l’unico insegnamento che non vorrei mai dimenticare è proprio questo: l’unico obiettivo della nostra vita deve essere la felicità e l’unico modo per trovarla è quello di non farci travolgere da aspettative e vivere sereni, senza essere condizionati dallo scorrere del tempo.
Anna Franzoni

martedì 31 luglio 2018

A Villaggio Fraternité si coltiva-di Ilaria Tinelli


A Villaggio Fraternité si coltiva: Coltiviamo i diritti dei bambini!
Coltiviamo i loro diritti offrendogli l’opportunità di poter frequentare la scuola e crescere, di far maturare i frutti di una buona formazione proveniente dalla preparazione che i nostri insegnanti e nostri educatori quotidianamente gli trasmettono.
Coltiviamo i loro diritti perché ogni bambino del Centro d’Accoglienza viene sostenuto in quanto persona umana, garantendo le spese mediche e quelle scolastiche, il supporto pomeridiano nello svolgimento dei compiti e un pasto quotidiano. Ci prendiamo cura degli “ultimi”, di quei bambini che si trovano a vivere in famiglie con difficoltà economiche, che sono orfani e che hanno degli handicap.

A Villaggio Fraternité si coltiva: coltiviamo i legami interpersonali!
Coltiviamo i legami di amicizia che, piano piano, iniziano a germogliare e a portare colore laddove la terra, nonostante sia nel cuore della foresta equatoriale, non è sempre fertile. Quelli con i bambini, con i colleghi, con il popolo camerunese per riuscire, nutriti dallo stesso “fertilizzante d’amore”, a sbocciare vicini per colorare questa terra e renderla più vivace perché, solo uniti, possiamo far diventare incantevole il mondo in cui viviamo.
A Villaggio Fraternité si coltiva: coltiviamo frutti ed ortaggi!
Coltiviamo papaye e guaiave, ananas e platani, avocado e manghi per portare un po’ di dolcezza nella vita di chi, quotidianamente, mette piede a Villaggio, ma anche in quella di chi, al mercato, decide di comprare i nostri prodotti.
Coltiviamo i folong che, da piccoli semi che erano, abbiamo visto crescere giorno dopo giorno annaffiandoli, piante di cui ci siamo prese cura lavorando la terra, potandoli, nutrendoli ancora e cogliendoli per poi cucinarli e servirli nei piatti dei nostri bambini.


A Villaggio Fraternité si coltiva: coltiviamo la nostra crescita personale!
Coltiviamo la nostra crescita mettendoci in gioco anche quando le nostre proposte vengono rifiutate, continuando la partita senza scoraggiarci dal goal subito e giocando in attacco.
Coltiviamo la nostra crescita personale perché ci confrontiamo con i nostri difetti, cercando di migliorarli e, perché no, con i nostri pregi, valorizzandoli.
Coltiviamo la nostra crescita personale quando, dall’amore donato ai nostri bambini durante l’anno scolastico, ne riceviamo in cambio uno più grande, venendo così rivestiti da una grande gioia, frutto della relazione di affetto creatasi.
A Villaggio Fraternité si coltiva: coltiviamo la bellezza di vivere!
Coltiviamo e apprezziamo giorno dopo giorno, tramonto dopo tramonto, abbraccio dopo abbraccio, il fascino della vita, quel respiro puro, quella boccata d’ossigeno che tanto desideravo trovare all’inizio del mio anno di Servizio Civile.
Coltiviamo la bellezza della vita con ogni sua sfumatura, negativa o positiva che sia, in ogni sorpresa che ci offre e che mai ci saremmo aspettati perché è soltanto quando ci sentiamo pieni dell’amore vero che la vita ci sorride ogni giorno.



Ilaria Tinelli

giovedì 24 maggio 2018

Francesca racconta i suoi primi sei mesi a Villaggio Fraternité-di Francesca Bucaletti

È metà maggio, e tra qualche settimana scadrà il mio visto di sei mesi per vivere in Cameroun. Questo vuol dire che sono già a metà della mia esperienza di servizio civile. Ricordo perfettamente la spaesatezza e la confusione con cui osservavo la silhouette della foresta equatoriale fuori dal finestrino durante il tragitto Yaoundé -Sangmelima il giorno del mio arrivo. Quella è stata una delle prime occasioni in cui mi sono detta “Fra, sei in Africa”. 
Arrivata a Villaggio Fraternité, di sera, le cicale mi hanno fatta sentire un po’ come a casa mia d’estate. Un’altra cosa che Villaggio ha in comune con casa mia in Toscana è il fatto di trovarsi a qualche chilometro dal centro città. Siamo immersi nel verde e lontani dal brusio della ville. 
Nonostante le somiglianze con il mio paesino natale, ce ne ho messo di tempo per adattarmi! 

I primi due mesi mi sentivo un po’ persa, sia nei confronti del mio ruolo nel progetto, sia nella quotidianità. Ma non ho mai pensato di aver fatto la scelta sbagliata e di voler tornare indietro. Infatti col tempo e la voglia di fare ho trovato la mia dimensione e adesso mi sento a mio agio con il contesto e con me stessa. 
Per questo devo ringraziare i sorrisi dei bambini, i consigli dei miei “Chefs” Flavio Valerio e Michele e le parole di conforto scambiate con le mie colleghe civiliste, ormai “mes sœurs”.

In questi mesi ho imparato molte cose ma quella più importante è a mettermi in discussione, e sono tante le volte in cui mi sono trovata a farlo. 

In primis ho imparato a mettere in discussione le aspettative. Si parte dall’Italia un po’ tutti con l’idea di aiutare il prossimo e che quindi si ricoprirà un ruolo indispensabile, e invece ti rendi conto che non è proprio così.. Villaggio Fraternité è un progetto già ben avviato, che gode di un’ottima reputazione a Sangmélima e resta solo da perfezionarlo. 
Se all’inizio questa cosa mi frustrava, adesso ho capito che è bene rendersi utili ma mai indispensabili, e che le persone apprezzano quello che fai, anche se è un piccolo gesto, se lo fai con il cuore. 

Inoltre ho imparato a mettere in discussione le mie certezze. Sorrido quando penso che, fino a prima della mia partenza, chiedevo se ci fosse possibilità di tornare qualche mese prima per cominciare di fretta e furia la magistrale - perché non si può “perdere”un altro anno. Adesso se mi offrissero di rimanere qualche mese in più accetterei senza pensarci due volte!

Ho imparato che cos’è un progetto di sviluppo ed ho toccato concretamente l’impegno e la fatica che stanno alla base di tutto ciò. Professionalmente mi sono messa in gioco in mansioni che non avrei mai pensato di svolgere, prima di scegliere di fare in servizio civile. Le lezioni di inglese con i bambini si sono rivelate una ricchezza soprattutto per me; ho scoperto l’importanza di lavorare sull’aspetto comunicativo di un progetto; ho provato la gioia nel vedere spuntare da sotto il suolo le prime fogline dei semi che avevo piantato, e l’orgoglio nel vederle crescere! 

Ho imparato a sentirmi la diversa, la mtangan, la blanche, la wat e a fare i conti con i pregiudizi e le immagini che questi appellativi creano nell’immaginario degli Africani. 

Ma soprattutto ho imparato tanto, moltissimo su di me e su una parte del mio carattere che era ancora totalmente inesplorata. Perché il Servizio Civile è molto più di un anno di volontariato all’estero; in quell’anno vivi, e impari a vivere veramente. 


Non mi resta che dire che aspetto con ansia di vedere cosa mi riserveranno i prossimi sei mesi.

di Francesca Bucaletti 

lunedì 5 marzo 2018

Diario dal Camerun di Ilaria


Sono ormai circa tre mesi che mi trovo nel continente africano, anche se sembra di essere qui da sempre, anche se sembra ieri che, appena scesa dall’aereo, mi son sentita travolta da una sensazione nostalgica e allo stesso tempo gioiosa.

Se guardo indietro mi rendo conto che già tanti sono gli sguardi incrociati, le mani tenute, le parole ascoltate, come altrettanti sono gli sforzi e le fatiche che all’inizio di questa mia esperienza ho dovuto affrontare. Eppure ricordo ancora molto lucidamente quel giorno di Settembre in cui capii che “questo è il luogo che Dio ha scelto per te, questo è il tempo pensato per te, quella che vedi è la strada tracciata per te e quello che senti l’Amore che ti accompagnerà.”
Come ogni inizio, anche quello di quest’anno di servizio civile è stato parecchio difficile, ma non ho mai dimenticato queste parole, non ho mai dimenticato di essere qui perché scelta e mandata dal Signore.

Ogni giorno faticoso, ogni ostacolo, ogni lotta contro i mulini a vento, ho avuto la fortuna di combatterli con una Forza più grande di qualsiasi ricaduta, una Forza che mi spinge a non demordere, anche quando sono debole. Se vi dico che qui a Sangmelìma (cittadina del sud del Cameroun) per riuscire ad andare ad una messa cattolica ci ho messo circa un mese, son sicura resterete un po’ sorpresi, eppure è così.

Capita che cammini e, sbagliando incrocio arrivi ad una chiesa e ti ritrovi in macchina con un pastore protestante per andare a festeggiare il giorno del Signore in un villaggio nel cuore della foresta; capita che sbagli l’orario della messa e arrivi a quella in bulu (lingua locale) e francese, senza così comprenderne più della metà; capita che, per andare alla parrocchia che ti hanno suggerito, non hai mezzi di trasporto e devi camminare 45 minuti per raggiungere la Chiesa e ricevere il corpo di Cristo.
Eppure, grazie ad ogni piccola sfida, grazie alle persone che mi sono vicine anche da lontano, riesco, un passo dopo l’altro, a rialzarmi per camminare.

Nonostante sia partita con un’idea molto precisa della “mia Africa”, nonostante questi miei pensieri non possano qui trovare concretezza, ho capito che la vera missione a cui siamo chiamati, è quella di ricercare il bene più grande, cioè la nostra felicità, mettendoci in gioco con gli altri e per gli altri.
Così, negli abbracci dei miei bambini della scuola materna, nella loro dolcezza con cui mi chiamano “Tata Ilaria”, nella loro spontaneità e, perché no, nei loro capricci, riesco a sentirmi pienamente serena. Così, nelle persone con cui lavoro, nel confronto con tante diversità, culturali e non, nella condivisione di valori, riesco a mettere in luce i miei difetti, cercare di accettarli e guardarli come dono del Signore. Così, nel lavoro quotidiano della terra, nella cura dell’orto, nell’annaffiare e nel vedere germogliare e crescere il seme piantato, riesco ogni giorno a stupirmi della bellezza e della grandezza del Creato.

Sono ormai circa tre mesi che mi trovo nel continente africano e tante continuano ad essere le novità con cui bisogna confrontarsi, come tante le domande che mi sorgono e mi mettono in difficoltà. Tuttavia, se guardo i sorrisi di quei bambini orfani, quello della piccola Divine o quello di Zee, capisco quanto il Signore sia grande perché si è fatto piccolo tra i piccoli per annunciarci che ogni croce che portiamo non deve essere motivo di tristezza ma di gioia e che con l’aiuto della fede, possiamo trasformarle in uno strumento di salvezza per il nostro cammino verso la santità.


Ilaria Tinelli
Volontaria in Servizio Civile 

mercoledì 13 dicembre 2017

Perché hai scelto il Servizio Civile? La testimonianza di Marta

Ricordo il primo spot  visto in tv sul servizio civile, vedevo ragazzi e ragazze che lavoravano insieme e si occupavano di persone che erano in difficoltà, ero ancora piccola e non mi rendevo conto pienamente di cosa voleva dire essere un civilista, avevo intuito solo una cosa, quei ragazzi erano lì per servire gli altri.

Tutto ciò è rimasto dentro di me sepolto in qualche angolo della mia coscienza, quasi dimenticato, fino a quando, un amico di famiglia, mi suggerì di presentare la domanda diversi anni dopo.

In questi anni ho fatto diverse esperienze di volontariato che mi hanno segnato profondamente e che poi, purtroppo, per diversi motivi ho dovuto abbandonare; questo, mi ha lasciato il desiderio di dedicare un periodo della mia vita a un’esperienza di servizio ma allo stesso tempo era un momento in cui cercavo di capire che indirizzo dare alla mia vita e ai miei studi.
Qui è tornato in gioco il servizio civile, scegliere il progetto non è stato affatto facile, estero o Italia? cooperazione o beni culturali? Ho colto l’occasione per lavorare su me stessa, per mettermi in discussione e capire che direzione far prendere alla mia vita.
Alla fine sono approdata in Avaz, rimarrò in Italia a Roma.  

Sarà sicuramente un’opportunità: per mettermi in gioco, per crescere, per entrare nel mondo del lavoro e della cooperazione internazionale.
Probabilmente, come quando vidi quello spot in tv, non ho ancora capito pienamente cosa significa essere un civilista e non ho ancora realizzato quanto quest’anno potrà aiutarmi a crescere, posso solo immaginare, ma non voglio crearmi troppe aspettative, voglio vivere il mio servizio giorno per giorno, godermi ogni momento e vivere ogni difficoltà e gioia.
Mi sento pronta, gasata, emozionata. Durante la formazione generale sentivo l’entusiasmo  crescere ogni giorno di più come poche volte ho provato in vita mia.

Marta Chionchio
Volontaria in Servizio Civile 

Perché hai scelto il Servizio Civile? La testimonianza di Francesca

Due anni fa non avrei mai immaginato di scrivere un articolo per spiegare il motivo che mi ha spinto a scegliere di fare un anno di Servizio Civile all’estero, in Africa.
Eppure, negli ultimi mesi, è stato un interrogativo che mi è stato posto numerose volte. Prima da parenti e amici, con un tono di interdizione e curiosità, ma anche da colleghi civilisti che come me stanno per partire. Anch’io per prima me lo sono domandata e me lo domando spesso.
Ogni volta mi do una risposta diversa. Non perché io non sia sicura della mia scelta, bensì perché le motivazioni sono molteplici e oltretutto sono mutate con il tempo.

Se all’inizio la spinta principale è nata dalla voglia e dal bisogno di mettermi in gioco in un’esperienza totalmente nuova, adesso ho capito che ciò che mi smuove è molto più profondo e che mi sto imbarcando in un’avventura che potrebbe cambiarmi la vita. Anzi, che sicuramente, comunque vada, mi cambierà la vita.  
Sono certa che sarà un anno ricco di emozioni forti e spero che mi aiuti a crescere e a capire se il mondo della cooperazione internazionale è quello giusto per il mio futuro.


Soprattutto ho scelto il Servizio Civile non per me, ma per gli altri.
Perché credo nei valori di Pace, Solidarietà e Libertà. Sono fiera di far parte di questo gruppo di giovani civilisti che, come me, si sono fatti ambasciatori di questi principi, senza paura di affermare di essere Cittadini del Mondo.

Francesca Bucaletti
Volontaria in Servizio Civile in Camerun

Jessica racconta perché ha scelto di fare Servizio Civile

Nell'ultimo anno e mezzo ho iniziato a lavorare nel frenetico mondo del “business milanese”, vita da ufficio, gente sempre di corsa e presa dalla propria carriera; la guardavo e non riuscivo a sentirmi parte di questa frenesia. 
Ho iniziato a scavare un po’ dentro di me e ho sentito la necessità di fermami un attimo per capire meglio se questa era la direzione che avrei voluto far prendere alla mia vita. Non ero pronta a fermami ora nella mia città natale, la voglia di crescere in una realtà diversa e lontana da casa ancora una volta mi premeva, la voglia di esplorare, di conoscere il mondo.

Tramite ricerche online ho iniziato a cercare una maniera concreta che potesse permettermi di realizzare questa mia fame di cambiamento, ed è qui che ho trovato il bando del sevizio civile.
Molti erano i progetti interessanti, ma per un’attitudine personale quello che desideravo era il contatto diretto con le persone, volevo, e spero di aver trovato, un progetto che mi permetta di stare vicino alle persone e far del bene, dare il mio piccolo contributo in questo mondo per aumentare la consapevolezza comune nel rispetto delle culture e delle diversità.

In questo anno mi aspetto di vivere un’esperienza forte, impegnativa e sicuramente ricca di emozioni. Un banco di prova per dare una scossa alla mia vita personale e, perché no, anche per iniziare un nuovo cammino nel mondo della cooperazione. Dopo questa settimana di intensa formazione, non vedo l’ora di partire per andare a conoscere tutti i bambini di Villaggio Fraternité, gli insegnanti e il personale locale che da anni segue questo progetto, dove spero di portare il mio piccolo contributo. 
In questo mondo sempre di corsa è importante anche fermarsi e prendersi del tempo per quello che si desidera davvero, senza basarsi solo su quello che le persone e la società in cui cresciamo si aspettano da noi. 
Ho scelto di vivere questa esperienza per investire su di me, perché credo nella possibilità di un mondo migliore per tutti. Durante questo anno voglio aprirmi, conoscere, crescere e sperimentare una nuova me!

See u in Sangmélima!


Jessica Valerani
Volontaria in Servizio Civile in Camerun

martedì 24 ottobre 2017

Articolo di fine Servizio Civile - Valerio Catania


Sto scrivendo queste righe comodamente seduto nella mia casa di famiglia a Troina, appena di ritorno dal Cameroun. Con la comodità e il calore familiare spero sia più semplice raccogliere le impressioni di questi dieci mesi, per meglio scriverle e trasmetterle.
Ma tirare le somme di questo anno di servizio civile non è in ogni caso facile, perché i risultati di questa breve e profonda esperienza sono tanti, continuano a fiorire giorno dopo giorno, anche dopo il rientro; ne ho goduto a fondo e continuerò a goderne. Sarebbe bello scrivere tra qualche mese o anno, quando avrò capito meglio, quando ne avrò compreso i risultati positivi e negativi; ma come ho imparato, non sono bravo con le promesse.
Sono partito con mille idee e con tanta voglia di fare e di cambiare, come tutti insomma. Sento chiaro adesso il cambiamento in me stesso cosi profondo seppur dopo un trascurabile arco di tempo; purtroppo non ne percepisco ancora i particolari. 
Torno carico di esperienze e di emozioni e allo stesso tempo più semplice e leggero. Semplice come la gente che ho incontrato, come questo articolo, come le mie emozioni adesso, semplicemente felice per aver vissuto quasi un anno a Villaggio Fraternité, a Sangmélima. Semplicemente soddisfatto per aver collaborato all'interno di questo progetto sentendomi accettato e partecipe alla cooperazione internazionale. 
Torno consapevole della potenza di questo strumento quando affidato alle mani forti di una famiglia come Avaz, capace di creare Villaggio Fraternité, in cui si aiuta la cosa più preziosa, i Bambini, e in cui ci si sente tranquilli e accettati come a casa, a qualsiasi età, sia vivendoci per pochi mesi che lavorandoci per anni.
Villaggio è una scuola, e viene da domandarsi cosa ci sia di speciale in una scuola, soprattutto in contesti in cui di scuole se ne incontrano in ogni dove. È una scuola italiana perfettamente integrata e accettata nel contesto in cui si trova; per questo è un luogo speciale, una casa, non solo per me ma per tutti coloro che lo frequentano. È il luogo in cui con serenità ho affrontato le mie paure e debolezze, in cui sono cresciuto, è il luogo che ringrazio.
A pochi giorni dal rientro mi sento triste e sconvolto. Penso a Sangmélima, a Villaggio e a tutta la gente che ho incontrato in questo viaggio per sentirmi sollevato, mi sento felice quando percepisco che questi luoghi e queste persone esistono e continueranno ad esistere su questa terra.

Grazie, continuate ad esistere.


Valerio Catania
Volontario in Servizio Civile in Camerun