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giovedì 27 febbraio 2020

Scoiattoli alle noci


C’è un vecchio film in cui il tizio dice alla fanciulla:
“... è strano, lei non sembra essere inibita… allora perché ha pensato di essere fuori posto? Nessuno può dirle qual è il suo posto... dove è il mio posto? Dove è il posto degli altri? Glielo dico io dove è. Dove lei è felice, lì è il suo posto.”

Ecco, posso dire che nella seconda metà del servizio civile, poiché le circostanze hanno fatto sì che l’esperienza procedesse secondo una direzione diversa rispetto a quella con cui era iniziata, mi sono interrogata diverse volte; dapprima per capire quale fosse il “mio posto” a Villaggio Fraternité, in quella piccola città a sud del Camerun (Sangmelima) e poi in generale se quel “posto” potesse essere nel mondo della cooperazione, che tanto mi aveva affascinato.
Per la seconda questione ho pensato di procrastinare momentaneamente la risposta, mentre per la prima ho deciso che la scelta migliore sarebbe stata quella di cercare di adattarsi, di essere flessibile e di trovare una nuova collocazione in quel contesto; ho perciò cominciato a correre (metaforicamente e letteralmente) ovunque ci fosse necessità e a svolgere qualsivoglia compito mi venisse assegnato, cercando di farlo sempre al meglio. 
A Villaggio avrei potuto fare certamente molto di più, ma poiché ho imparato ad essere un po’ meno severa con me stessa, posso dire che va bene così; in generale ho cercato di “profiter”: ho viaggiato “in solitaria” e in gruppo (adottata da dolcissime civiliste di un’altra ONG) e questo mi ha consentito di trarre il meglio sia dalla condivisione con altre persone che dallo star soli; in quest’ultima occasione ho scoperto una nuova sensazione di libertà. Mi sono lasciata trasportare da ciò che la realtà mi proponeva e ad un certo punto ho cominciato ad agire con più leggerezza, io che viaggio da sempre con pesantissime zavorre... e mi sono resa conto di questo piccolo ma grande mutamento che il Camerun aveva prodotto. Questo Camerun amato/odiato in un’altalena emotiva durata un anno.

È finita e come nei film alla fine sullo schermo nero scorrono i titoli di coda e i ringraziamenti alle persone che vi hanno partecipato.
Villaggio: un luogo speciale, una scuola unica e una vera e propria casa per tante persone, adulti e bambini.
La mia famiglia AVAZ a Roma e a Sangmelima. Gli chefs, amici e fratelli prima ancora che guide: hanno ascoltato i miei pensieri confusi e tentato di dare delle risposte; mi hanno sostenuto e supportato in plurime circostanze, mi hanno stimolato e attraverso conversazioni maieutiche mi hanno permesso di tirar fuori pensieri e riflessioni impolverati che per mia natura fanno fatica ad emergere; le loro splendide compagne hanno capito i miei complessi e le mie insicurezze e hanno “lavorato” in silenzio per ridimensionarli.
I miei piccoli coinquilini con cui sono cresciuta anche io, due bimbetti speciali che con abbracci e riflessioni “adulte” mi hanno conquistata (nonostante pianti e sveglie all’alba) e commosso, bussando al mio cuore duro.
Gli amici, alcuni dei quali sono diventati persone di cui mi sono fidata, io, sfiduciata per natura. Mi hanno accolta, integrata, aiutata ed io ho tentato di fare lo stesso nel mio piccolo.
Le mie sorelle: una ex volontaria, un’esplosione di carica, un arcobaleno dopo le piogge torrenziali camerunesi, diventata la complice che mi ha traghettato davvero fino alla fine (accompagnandomi in aeroporto) e una suora speciale, la compagna di viaggio degli ultimi sei mesi dal sorriso aperto e dalle braccia accoglienti, sempre pronta a dispensare consigli e adorabili quotidiane prese in giro. 
Chi si è affacciato sul percorso un po’ per caso, chissà...
Chi ha contribuito a farmi apprezzare questa cultura diversa, a farmi capire che non bisogna arrendersi anche quando tutto suggerirebbe di spegnersi.
Chi rimarrà nonostante le distanze.
A tutti loro va un sincero grazie!

Infine a chi mi chiederà nei prossimi giorni perché non si resta semplicemente in Italia, perché si parte per terre lontane, credo citerò sempre lo stesso vecchio film in cui il solito tizio dice che c’è gente che va al parco a dare noci agli scoiattoli perché farlo le rende felici. Ma alla fine, scoprire che ti rende più felice dare scoiattoli alle noci, va bene lo stesso.

Alessandra


martedì 27 novembre 2018

La missione

Se pensate di partire ed essere dei turisti che si mettono ad esplorare il paese o dei volontari che devono fare solo per dare agli altri, vi state sbagliando alla grande!
Se pensate di partire per andare a salvare il mondo perché state andando in Africa tra i poveri o perché potete aiutare quelli meno fortunati di voi, anche qui non fate che sbagliarvi.
Se soprattutto pensate di partire pieni di aspettative o con la certezza di trovare risposte alle tante domande che vi ponete o ancora volete andare a realizzare i vostri sogni, siete sempre nella direzione sbagliata.
Il servizio civile è semplicemente l’occasione di vivere dodici mesi di vita in una realtà totalmente diversa, ma sono dodici mesi della TUA vita che fanno la differenza se vissuti a cuore aperto.
Sono partita ed arrivata in terra africana con l'entusiasmo di 'voler fare missione'. Giorno dopo giorno sono poi però iniziate le difficoltà. Subito ho abbandonato l'idea di 'voler fare missione' iniziando a vivere semplicemente come facevo in Italia. Negli ostacoli e nei pianti, nelle sorprese e nell'Amore ho poi capito che non dovevo solo concentrarmi sul 'voler fare' ma piuttosto fare quello che sentivo e lasciare che la missione mi plasmasse.

Passo dopo passo, anche se lentamente, ho iniziato a scoprire e conoscere, incontrare gli altri e rincontrare me stessa. Passo dopo passo ho sentito come il Signore mi sia sempre stato accanto e come ogni giorno mi dia le forze per vivere al meglio questa avventura che è la vita.
Ho capito che il mio 'voler fare missione' non era altro che puro egoismo per ricevere in cambio riconoscenza; ma il Signore vede ciò che facciamo senza che qualcuno debba mostrarci ogni volta gratitudine. Ho capito che il mio 'voler fare missione' non era altro che l'entusiasmo del partire e andare verso l'Altro, senza offrire all'Altro, davanti a me e diverso da me, l'opportunità di venirmi incontro. Ho capito che il mio 'voler fare missione' era vero e sentito, ma anche un po' sporco perché pieno di 'voglio'.
Ed è stato negli abbracci profondi con le persone, nei sorrisi grandi e negli occhi vivi e illuminati dei bambini, nelle mani che non ti lasciano, nei piedi che camminano al tuo fianco, che ho trovato il vero ossigeno del cuore della foresta equatoriale.
Un’aria diversa che ti fa battere il cuore quando vedi gli occhi di un bambino felici di tornare a scuola per rivederti e correrti incontro scendendo dallo scuola-bus e abbracciarti, per ricominciare assieme il Centro d’Accoglienza e poter giocare e ridere con Tata Ilaria.
Ti fa battere il cuore quando, nonostante la difficoltà di due metodi educativi e due modi di pensare differenti, riesci a trovare un punto d’incontro con gli educatori di Villaggio Fraternité e assieme a dar vita a qualcosa di nuovo e specifico per undici bambini di uno o due anni.
Un’aria diversa che ti fa battere il cuore quando i pianti dei piccoli della pre-maternelle si trasformano in sorrisi e gioia di voler stringerti la mano per camminare al tuo fianco; quando cantano contenti le canzoncine per andare in classe, quando si buttano tra le tue braccia urlando “NTOOO” (che nella lingua locale, il Bulu, significa “abbraccio”) o ancora quando imparano a dire “presente”, a chiedere “per favore” e dire “grazie”. 
Ancora, quando vedi qualcuno star molto male e con una semplice visita a casa e stringendole la mano riesci a donarle un sorriso e la forza per riprendersi.
Ti fa battere il cuore quando i bambini del Centro d’Accoglienza ti chiedono se il laboratorio di scrittura creativa ricomincia anche quest’anno e se arriverà presto il libro che hanno creato.
Un’aria diversa quando sperimenti sulla tua pelle la grandezza della Fede che va al di là delle diversità religiose e apre le braccia a tutti indistintamente, che fa incontrare cristianesimo e islam in un unico grande amore, testimoniando come questo sia unico immenso dono di Dio, superando ogni pregiudizio. 
E allora, non c'è gioia più grande, non c'è sorriso più vero, non c'è amore più reale di quello di aver capito che non bisogna voler 'fare missione' perché la missione si fa da sé, perché la missione si vive, perché è la missione che fa la persona.
Ilaria Tinelli

venerdì 23 novembre 2018

Il coraggio


Se i primi sei mesi di Servizio Civile è stato faticoso e difficile adattarsi, gli ultimi sei si sono susseguiti uno dopo l’altro senza che nemmeno me ne rendessi conto. Le due settimane trascorse in Italia durante il rientro di metà servizio mi sono servite per fare una sorta di bilancio della prima parte della mia esperienza. Sono quindi tornata a giugno carica e pronta a mettermi in gioco ancora di più, spinta da quella sensazione di aver lasciato indietro delle cose, e che quella sarebbe stata l’ultima opportunità per farle. Per raccontarle tutte non basterebbe un articolo.

Concludo il mio servizio Civile con la consapevolezza che forse non avrò lasciato una grande impronta a livello progettuale, ma so di averla lasciata nel cuore di alcuni. Di Giovanni, che adesso viene a cercare la sua maestra d’inglese dicendomi “Tata, Tata, Sono arrivato primo della classe!”; di Flora, che nonostante sia già al liceo, ogni volta che vado a portarle un libro mi saluta con un dolcissimo abbraccio; di Ma’a Marie , che mi vuole bene come se fossi sua nipote; di Bernadette e Benjamain, che ogni volta che vado a far loro visita hanno sempre un piatto pronto per me. So che tutti loro e altri, si ricorderanno sempre di Tata Francesca. Ma ciò di cui non si rendono conto è di quanto loro hanno trasmesso a me e che per questo li ringrazierò per sempre. Mi porterò sempre nel cuore quello che mi hanno insegnato, per esempio a vivere la vita con più leggerezza e coraggio.

Ho anche acquisito un’altra consapevolezza, ovvero che il Cameroun è un paese che ha compreso quanto l’educazione sia importante per crescere un popolo in grado svilupparsi. C’è ancora molto lavoro da fare in questo senso e Villaggio Fraternité, in una piccola comunità come quella di Sangmelima, rende possibile a dei bambini, che altrimenti non ne avrebbero la possibilità, di diventare dei giovani intelligenti e responsabili. Sono orgogliosa di aver dato il mio contributo, anche se minimo, a questo progetto.


Negli ultimi giorni a Villaggio mi sono sentita avvolta da un forte sentimento di nostalgia. Mi sono resa conto che non vedrò i bimbi della materna passare dalla divisa rossa a quella blu della primaria, non andrò più a fare la spesa al mercato di Sangmelima, non sarò più in ufficio pronta a dare una matita a chi ha già finito la propria e non vedrò più il prugno davanti casa carico di frutti. Villaggio Fraternité e Sangmelima sono state la mia famiglia e la mia casa in quest’ultimo anno e mi rattrista molto dover salutare quella che ormai era diventata la mia quotidianità.



 Spero che il mio saluto sia soltanto un “arrivederci, a presto”  e che di tanto in tanto avrò l’opportunità di passare a Villaggio e vedere come i bambini e i girasoli siano cresciuti e sentirmi fiera di ciò.

Francesca Bucaletti

lunedì 5 marzo 2018

Diario dal Camerun di Ilaria


Sono ormai circa tre mesi che mi trovo nel continente africano, anche se sembra di essere qui da sempre, anche se sembra ieri che, appena scesa dall’aereo, mi son sentita travolta da una sensazione nostalgica e allo stesso tempo gioiosa.

Se guardo indietro mi rendo conto che già tanti sono gli sguardi incrociati, le mani tenute, le parole ascoltate, come altrettanti sono gli sforzi e le fatiche che all’inizio di questa mia esperienza ho dovuto affrontare. Eppure ricordo ancora molto lucidamente quel giorno di Settembre in cui capii che “questo è il luogo che Dio ha scelto per te, questo è il tempo pensato per te, quella che vedi è la strada tracciata per te e quello che senti l’Amore che ti accompagnerà.”
Come ogni inizio, anche quello di quest’anno di servizio civile è stato parecchio difficile, ma non ho mai dimenticato queste parole, non ho mai dimenticato di essere qui perché scelta e mandata dal Signore.

Ogni giorno faticoso, ogni ostacolo, ogni lotta contro i mulini a vento, ho avuto la fortuna di combatterli con una Forza più grande di qualsiasi ricaduta, una Forza che mi spinge a non demordere, anche quando sono debole. Se vi dico che qui a Sangmelìma (cittadina del sud del Cameroun) per riuscire ad andare ad una messa cattolica ci ho messo circa un mese, son sicura resterete un po’ sorpresi, eppure è così.

Capita che cammini e, sbagliando incrocio arrivi ad una chiesa e ti ritrovi in macchina con un pastore protestante per andare a festeggiare il giorno del Signore in un villaggio nel cuore della foresta; capita che sbagli l’orario della messa e arrivi a quella in bulu (lingua locale) e francese, senza così comprenderne più della metà; capita che, per andare alla parrocchia che ti hanno suggerito, non hai mezzi di trasporto e devi camminare 45 minuti per raggiungere la Chiesa e ricevere il corpo di Cristo.
Eppure, grazie ad ogni piccola sfida, grazie alle persone che mi sono vicine anche da lontano, riesco, un passo dopo l’altro, a rialzarmi per camminare.

Nonostante sia partita con un’idea molto precisa della “mia Africa”, nonostante questi miei pensieri non possano qui trovare concretezza, ho capito che la vera missione a cui siamo chiamati, è quella di ricercare il bene più grande, cioè la nostra felicità, mettendoci in gioco con gli altri e per gli altri.
Così, negli abbracci dei miei bambini della scuola materna, nella loro dolcezza con cui mi chiamano “Tata Ilaria”, nella loro spontaneità e, perché no, nei loro capricci, riesco a sentirmi pienamente serena. Così, nelle persone con cui lavoro, nel confronto con tante diversità, culturali e non, nella condivisione di valori, riesco a mettere in luce i miei difetti, cercare di accettarli e guardarli come dono del Signore. Così, nel lavoro quotidiano della terra, nella cura dell’orto, nell’annaffiare e nel vedere germogliare e crescere il seme piantato, riesco ogni giorno a stupirmi della bellezza e della grandezza del Creato.

Sono ormai circa tre mesi che mi trovo nel continente africano e tante continuano ad essere le novità con cui bisogna confrontarsi, come tante le domande che mi sorgono e mi mettono in difficoltà. Tuttavia, se guardo i sorrisi di quei bambini orfani, quello della piccola Divine o quello di Zee, capisco quanto il Signore sia grande perché si è fatto piccolo tra i piccoli per annunciarci che ogni croce che portiamo non deve essere motivo di tristezza ma di gioia e che con l’aiuto della fede, possiamo trasformarle in uno strumento di salvezza per il nostro cammino verso la santità.


Ilaria Tinelli
Volontaria in Servizio Civile 

mercoledì 13 dicembre 2017

Ecco perché Anna ha scelto il Servizio Civile

A Marzo 2015 ho iniziato a lavorare in un centro accoglienza per richiedenti asilo a Milano, dove sono stata a contatto con ragazzi di diverse nazionalità africane. Più i giorni passavano, più mi rendevo conto di come alcune loro idee e alcuni loro comportamenti erano davvero difficili da “decifrare” e quindi comprendere secondo le nostre categorie “occidentali”. Tutto ciò portava a incomprensioni e conflitti, che erano invece facilmente risolvibili quando ci si fermava a ragionare, uscendo dai quei preconcetti costruiti secondo la nostra cultura.

Da qui nasce quindi la voglia di immergermi io stessa in un paese a me sconosciuto da ogni punto di vista, per due motivazioni in particolare: innanzitutto per fare un’esperienza che mi desse la possibilità di conoscere più da vicino una di quelle culture con cui quotidianamente ero in contatto grazie al mio lavoro. In secondo luogo, ma non meno importante, per provare cosa vuol dire essere straniera, trovarsi catapultata in un paese così lontano geograficamente e culturalmente dal mio, un paese di cui so solo quelle poche informazioni reperibili sul web (e chissà se poi corrispondono alla realtà). 
Per la prima volta sarò io a dovermi adeguare a usi, costumi, linguaggi altrui. Credo che, per chi come me vuole lavorare nell’ambito delle migrazioni, sia indispensabile fare esperienza di quelle sensazioni di spaesamento e frustrazione iniziali, tipiche delle situazioni di emigrazione.

A tutte queste belle e ragionevoli motivazioni, si aggiunge quella che io definisco “vocazione”, un qualcosa dentro di me che mi dice “Vai!”, una forza inspiegabile che mi spinge a prendere decisioni come questa: “Mollo tutto e faccio un anno di servizio civile in Camerun”, una decisione pazza e irresponsabile per la maggior parte dei miei amici e famigliari, l’unica decisione di buon senso che, a mio avviso, potevo prendere in questo momento della mia vita.
Non ci sono motivazioni comprensibili alla ratio umana, ma solo una spinta interiore impossibile da spiegare con le parole.


Anna Franzoni
Volontaria in Servizio Civile in Camerun 

Jessica racconta perché ha scelto di fare Servizio Civile

Nell'ultimo anno e mezzo ho iniziato a lavorare nel frenetico mondo del “business milanese”, vita da ufficio, gente sempre di corsa e presa dalla propria carriera; la guardavo e non riuscivo a sentirmi parte di questa frenesia. 
Ho iniziato a scavare un po’ dentro di me e ho sentito la necessità di fermami un attimo per capire meglio se questa era la direzione che avrei voluto far prendere alla mia vita. Non ero pronta a fermami ora nella mia città natale, la voglia di crescere in una realtà diversa e lontana da casa ancora una volta mi premeva, la voglia di esplorare, di conoscere il mondo.

Tramite ricerche online ho iniziato a cercare una maniera concreta che potesse permettermi di realizzare questa mia fame di cambiamento, ed è qui che ho trovato il bando del sevizio civile.
Molti erano i progetti interessanti, ma per un’attitudine personale quello che desideravo era il contatto diretto con le persone, volevo, e spero di aver trovato, un progetto che mi permetta di stare vicino alle persone e far del bene, dare il mio piccolo contributo in questo mondo per aumentare la consapevolezza comune nel rispetto delle culture e delle diversità.

In questo anno mi aspetto di vivere un’esperienza forte, impegnativa e sicuramente ricca di emozioni. Un banco di prova per dare una scossa alla mia vita personale e, perché no, anche per iniziare un nuovo cammino nel mondo della cooperazione. Dopo questa settimana di intensa formazione, non vedo l’ora di partire per andare a conoscere tutti i bambini di Villaggio Fraternité, gli insegnanti e il personale locale che da anni segue questo progetto, dove spero di portare il mio piccolo contributo. 
In questo mondo sempre di corsa è importante anche fermarsi e prendersi del tempo per quello che si desidera davvero, senza basarsi solo su quello che le persone e la società in cui cresciamo si aspettano da noi. 
Ho scelto di vivere questa esperienza per investire su di me, perché credo nella possibilità di un mondo migliore per tutti. Durante questo anno voglio aprirmi, conoscere, crescere e sperimentare una nuova me!

See u in Sangmélima!


Jessica Valerani
Volontaria in Servizio Civile in Camerun

martedì 24 ottobre 2017

Articolo di fine Servizio Civile - Valerio Catania


Sto scrivendo queste righe comodamente seduto nella mia casa di famiglia a Troina, appena di ritorno dal Cameroun. Con la comodità e il calore familiare spero sia più semplice raccogliere le impressioni di questi dieci mesi, per meglio scriverle e trasmetterle.
Ma tirare le somme di questo anno di servizio civile non è in ogni caso facile, perché i risultati di questa breve e profonda esperienza sono tanti, continuano a fiorire giorno dopo giorno, anche dopo il rientro; ne ho goduto a fondo e continuerò a goderne. Sarebbe bello scrivere tra qualche mese o anno, quando avrò capito meglio, quando ne avrò compreso i risultati positivi e negativi; ma come ho imparato, non sono bravo con le promesse.
Sono partito con mille idee e con tanta voglia di fare e di cambiare, come tutti insomma. Sento chiaro adesso il cambiamento in me stesso cosi profondo seppur dopo un trascurabile arco di tempo; purtroppo non ne percepisco ancora i particolari. 
Torno carico di esperienze e di emozioni e allo stesso tempo più semplice e leggero. Semplice come la gente che ho incontrato, come questo articolo, come le mie emozioni adesso, semplicemente felice per aver vissuto quasi un anno a Villaggio Fraternité, a Sangmélima. Semplicemente soddisfatto per aver collaborato all'interno di questo progetto sentendomi accettato e partecipe alla cooperazione internazionale. 
Torno consapevole della potenza di questo strumento quando affidato alle mani forti di una famiglia come Avaz, capace di creare Villaggio Fraternité, in cui si aiuta la cosa più preziosa, i Bambini, e in cui ci si sente tranquilli e accettati come a casa, a qualsiasi età, sia vivendoci per pochi mesi che lavorandoci per anni.
Villaggio è una scuola, e viene da domandarsi cosa ci sia di speciale in una scuola, soprattutto in contesti in cui di scuole se ne incontrano in ogni dove. È una scuola italiana perfettamente integrata e accettata nel contesto in cui si trova; per questo è un luogo speciale, una casa, non solo per me ma per tutti coloro che lo frequentano. È il luogo in cui con serenità ho affrontato le mie paure e debolezze, in cui sono cresciuto, è il luogo che ringrazio.
A pochi giorni dal rientro mi sento triste e sconvolto. Penso a Sangmélima, a Villaggio e a tutta la gente che ho incontrato in questo viaggio per sentirmi sollevato, mi sento felice quando percepisco che questi luoghi e queste persone esistono e continueranno ad esistere su questa terra.

Grazie, continuate ad esistere.


Valerio Catania
Volontario in Servizio Civile in Camerun

lunedì 16 ottobre 2017

Articolo di fine Servizio Civile - Erica Calabria


Dopo 10 mesi di Servizio Civile trovo difficile scrivere questo articolo, le cose da raccontare sono davvero troppe e anche le sensazioni. Sento prima di tutto di dover ringraziare tutti quelli che ne hanno fatto parte, chi da qui in Camerun e chi dall'Italia; la collaborazione è stata continua e sempre presente.

Ricordo il primo periodo, dove volevo far di tutto per dare qualcosa a questo progetto. Partiamo tutti con una grande voglia di fare tanto e a volte anche troppo. All'inizio i bambini non ti conoscono e ti vedono come il volontario nuovo e perciò sono molto curiosi: ti guardano le braccia e notano le vene, o ti toccano i capelli che per loro sono morbidi come quelli dei neonati. Mi rendo conto solo questo ultimo mese dove la scuola è ricominciata, di voler fare una pausa e godermi tutto quello che ho attorno, i bambini, il personale, ma anche il paesaggio e tutto quello che all'inizio sembrava strano.

Ho iniziato le lezioni di inglese nelle classi della primaria nel mese di febbraio. Non sapevo come sarebbe andata e nemmeno se ne sarei stata in grado. I bambini inizialmente ti vedono come l’amica e non come la maestra, per cui bisogna trovare il modo per farsi ascoltare e rispettare in classe, senza dover solo giocare. Con i più grandi è stato facile, coi più piccoli è stato sufficiente preparare lezioni con giochi o divertendosi, soprattutto con lezioni multimediali. E' stata davvero soddisfacente come attività, ancora oggi quando entro semplicemente nelle classi, mi salutano con “Good morning Madam”. Ho imparato molto in questo campo dalle maestre di Villaggio, soprattutto sul come farsi ascoltare. Certo tenere 40 bambini non è semplice, anche se loro lo fanno sembrare davvero facile. Collaborare con loro è gratificante.

Villaggio ti dà tante soddisfazioni, come per esempio il “progetto orto” che abbiamo iniziato questa estate e che sta dando i suoi frutti, o vedere il Centro di Accoglienza coi suoi educatori lavorare sul campo. Villaggio é sempre in continua evoluzione e cerca di migliorarsi nel tempo. Penso che come ogni anno cambino i volontari e i loro interessi, anche Villaggio migliori in campi diversi a seconda di cosa i volontari portano con sè. É come se ogni volontario andasse ad aggiungere qualcosa di personale al progetto, condividendolo.


Sarà difficile riabituarsi all’Italia dopo essersi integrati con la cultura di qua, ci vorrà tempo, come per tornare a dire “strano” anziché “bizzarro”. Me ne andrò con un bellissimo ricordo, sapendo come funziona la cooperazione e com'è farne parte. Essersi trovati a proprio agio in una comunità così diversa, che ti accoglie curiosa e vuole collaborare con te, non è scontato. 

Quindi ringrazio ancora tutti coloro che lo hanno fatto e che mi hanno fatto sentire parte di qualcosa.

Erica Calabria
Volontaria in Servizio Civile in Camerun

lunedì 9 ottobre 2017

Articolo di fine Servizio Civile - Flavio Boffi


Ora calmati. Mettiti seduto, rilassati e calmati. Lo sapevi dall’inizio che sarebbe arrivato questo giorno. Non sarai né il primo né l’ultimo che farà esperienze del genere, e nemmeno l’ultimo che se ne andrà con il groppo in gola. Nemmeno a dire che hai lasciato ‘sto segno indelebile non dico nella società, ma manco in una persona. Sì, hai vissuto, amato e scoperto. E qualcuno si ricorderà di te ancora per un po’ dopo la tua partenza. Ma nulla di più. Punto, a capo, capitolo b. 
E allora smettila di filosofare, di guardarti intorno con gli occhi gonfi di lacrime come fosse qualcosa a cui vorresti disperatamente aggrapparti. Smettila di cercare parole per descrivere quanto sia stato bello quest’anno. Sì, lo è stato. È stato una scoperta di tutto, a partire da me stesso. Sono arrivato con mille idee, me ne torno con una matassa che forse il tempo mi aiuterà a sbrogliare. Sono partito portandomi il fardello dell’uomo bianco: “Tutta colpa nostra”, mi dicevo. Una volta qui, ho stravolto il mio pensiero e iniziato a criticare dentro di me quasi tutto quello che vedevo intorno. Il tempo ha fatto il suo e ora apprezzo e comprendo, e quello che ancora critico lo leggo sotto un’altra lente, forse più grande, o semplicemente meno sfocata. 
Ora, non voglio fare un’analisi di tutto quello che ho visto, interpretato e riprodotto in quest’anno di servizio civile: sarebbe troppo lungo e troppo contorto ancora. E più che una considerazione, vorrei lasciare qui, su questo foglio, solo un desiderio: vorrei portare con me, nella mia vita, la loro leggerezza, la leggerezza degli africani. Ho visto padri rischiare di perdere i propri figli e continuare comunque a sorridere, ho visto sogni spezzarsi senza per questo piegare il sognatore. Ho visto vite leggere, che non si fanno il fegato marcio per qualunque cosa intorno non vada come dovrebbe o vorrebbero loro. “È così, è la vita, prendere o lasciare”, sembrano dire. 
Me ne vado con la consapevolezza di non aver dato pressoché nulla, di aver ricevuto abbracci e sorrisi immeritati, lascio qualcosa in sospeso che solo il tempo, forse, risolverà. E no, non me ne vado felice. Vorrei restare, ora che ho cominciato a capirci qualcosa del posto dove sono, ora che distinguo volti, sguardi interessati da sguardi sinceri, ora che non ho più paura. Vorrei restare, ma non posso. Più probabilmente non ho il coraggio di restare senza paracadute. Conosco qualcuno che rimarrà anche dopo, in altri paesi e in altri luoghi. Avete la mia stima e vi auguro il meglio. Per me, è ora di rientrare. Diverso da come sono partito, consapevole che non riuscirò mai a capire e conoscere tutti i mondi che compongono questa terra, ma speranzoso di conoscerli tutti. Magari con una vita presa più alla leggera, intensa e mai banale. 
Come diceva Charlie Chaplin: “Vivi come credi. Fai cosa ti dice il cuore…ciò che vuoi… una vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali. Canta, ridi, balla, ama…e vivi intensamente ogni momento della tua vita… prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi”.   

Flavio Boffi
Volontario in Servizio Civile in Camerun

giovedì 11 maggio 2017

La testimonianza di Erica, Volontaria del Servizio Civile

Sono ormai 5 mesi che vivo in Africa. Sembra ancora ieri che sono arrivata per iniziare il mio servizio civile in Camerun, più precisamente Sangmèlima, che è una "ville" abbastanza tranquilla e in continuo sviluppo. Sono molti i Paesi che contribuiscono a questo sviluppo, non solo le ONG italiane come Avaz; per esempio c'è una forte presenza cinese per quanto riguarda la costruzione di strade o per lavori riguardanti la potabilizzazione dell'acqua.

Già dal primo giorno mi resi conto che qui tutto era diverso e c'era quindi bisogno di un'attenzione in più per viverci. Il mio primo passo fuori dall'auto e già avevo mezza gamba immersa in una pozzanghera che sembrava decisamente meno profonda di quel che poi era. Oppure il primo pasto fatto che era riso con salsa di arachidi, a cui purtroppo proprio non riesco a farci l'abitudine. Sono tante le differenze in campo di cibo, abitudini, lingua, modo di esprimersi o ancora il pensiero e la tradizione. Dopo aver notato tutte queste differenze però, quello che salta più all'occhio è invece quanto siamo simili come persone. Lavorano, escono in compagnia, vanno a messa; probabilmente la differenza per quanto riguarda le tempistiche è la più notevole. Se da noi al ristorante aspettare mezzora è già qualcosa di insopportabile, qui l'attesa da più di due ore è tranquillamente accettata. Quando capita qualcosa di brutto o imprevisti spiacevoli, il loro motto sembra essere "ormai che posso farci, andiamo avanti". E questo condiziona il loro modo di vivere. Hanno trovato, secondo me, la maniera per vivere senza avere troppi problemi o pensieri inutili per quanto riguarda cose ormai passate. Guardano sempre al presente. In questo senso devo dire che trovo il Camerun un paese molto positivo.

Per quanto riguarda in modo più specifico il lavoro "servizio civile" qui a Sangmèlima, ovvero la gestione di una scuola materna e primaria con annesso un centro di accoglienza per i bambini più in difficoltà, devo dire che inizialmente forse ho fatto fatica a capire quale fosse il mio ruolo. Arrivi in un paese diverso da quello dove sei nata e cresciuta e ti trovi a dover svolgere dei compiti che nemmeno sapevi esistessero o riguardassero la gestione scolastica. Fortunatamente il progetto era già ben avviato, quindi non è stato difficile capire come funzionava. La parte più difficile inizialmente è stata probabilmente il riuscire a ricordare i volti dei bambini e associare i nomi alle persone; mentre ora è quotidianità il chiamarli per nome. L'attività che svolgo in classe nel fare corsi di inglese ha aiutato molto la mia memoria riguardo questo fatto, vedendo più spesso i bambini.

Il rapporto col personale è molto buono, ormai ci si conosce. A volte mi chiedo cosa ne pensino loro nel vedere ogni anno gente nuova con cui lavorare. Penso non sia facile nemmeno per loro l'"adattarsi" a noi nuovi volontari. Ci vuole pazienza da entrambe le parti e sicuramente la voglia di collaborare per fare funzionare il progetto è essenziale.

Quest'anno per la prima volta qui, i civilisti sono 4. Il rapporto instaurato con loro è essenziale, non solo perché si lavora insieme quotidianamente, ma anche perché ci si trova a convivere. Sono persone che come te hanno deciso di partire, per mettersi in gioco e con cui quindi avrai sempre un pensiero comune che lega.

Allo stesso livello di legame tra civilisti, c'è quello con i responsabili del progetto. Si passa molto tempo tutti insieme, quindi alla fine nonostante sia per un tempo limitato, diventano la tua famiglia sulla quale puoi fare affidamento. I responsabili sono coloro che ti accolgono quando arrivi, ti spiegano come funziona, ti fanno sentire a casa e cercano di esserci il più possibile in caso di necessità e non.

Vorrei raccontare un aneddoto per cercare di farvi capire che tipo di esperienza unica e vasta sia il servizio civile: il capodanno cinese a Sangmèlima.

Non ricordo il giorno preciso, ma era un giorno di gennaio. Vivendo da un po’ qui, le conoscenze fatte sono molte. Per esempio, per questo episodio, dei ragazzi di nazionalità cinese che come noi si trovano a lavorare in Camerun, un ingegnere tunisino e un'ormai amica giapponese. Essendo quindi giorno di festa cinese per il capodanno, questi tre ragazzi hanno invitato noi italiani e i qui sopra citati, per aggiungerci a cena e festeggiare con loro. È stata una bellissima serata in compagnia, tutti seduti attorno allo stesso tavolo per parlare, ridere e scherzare. Questa scena della nostra tavolata in festa mi è rimasta molto impressa, perché mi ha fatto pensare: "Cinesi, tunisini, giapponesi e italiani, tutti seduti allo stesso tavolo, in Camerun, a cercare di comunicare in francese o inglese, quando nessuno di noi è di nazionalità francese o inglese". Qui ho capito qualcosa in più su che tipo di esperienza è e può essere questa. Davvero unica.

Erica

martedì 4 aprile 2017

La testimonianza di Francesco Valerio, Volontario del Servizio Civile

Adesso che comincio a scrivere è il 24 marzo 2017, giusto 4 mesi dopo il mio arrivo a Villaggio Fraternitè.
Avrei dovuto cominciare a scrivere molto prima; non l’ho fatto, ho voluto prima aspettare che tutte le mie sensazioni e opinioni avessero la conferma che solo il tempo può dare. Non ho voluto farmi prendere dall’entusiasmo e cominciare subito a scrivere dicendo che tutto va benissimo, che questa esperienza è migliore di come potessi immaginare. Adesso a distanza di mesi posso confermare che è veramente cosi.
L’ambiente è idilliaco (niente caldo mi dispiace, solo un po’ di zanzare) e svegliarsi ogni mattina circondati dalla natura e dal suono degli animali, con i bambini e i dipendenti di Villaggio che ti accolgono con il sorriso mi ha permesso di raggiungere una sensazione di benessere forse mai provata prima.
Ma non voglio parlarvi né di Villaggio, né del progetto Acqua né di quello Agricolo. Voglio brevemente confermare quanto già chiaro a tutti: Villaggio Fraternitè e tutti i progetti Avaz, marciano alla grande e godono di grande approvazione e rispetto qui a Sangmelima.

Voglio invece parlarvi di questa sensazione di benessere sempre più costante. Quando accettai di partire per l’Africa la paura più grande era quella di non riuscire a raggiungere quel flusso di percezione della realtà che ti fa sentire parte integrante del contesto, che ti fa vivere in serenità, che ti rende felice anche se semplicemente seduto in silenzio sotto un albero. L’eventualità di non sentirmi a mio agio e di non riuscire a comprendere questa nuova realtà mi ha molto frenato inizialmente. Non è stato facile lasciarsi andare, l’essere scaraventati letteralmente su un altro pianeta, con condizioni di vita e compagnie completamente nuove, mi ha portato, anche a causa di un carattere a volte troppo razionale, a cercare rifugio nell’isolamento rifiutandomi di lasciarmi andare. Ci sono volute un paio di settimane ma trascorse quelle sono stato come travolto e posso finalmente dire che ho sostituito la mediocrità di vivere quest’esperienza con la testa (tipica dei miei primi giorni qua) alla libertà di viverla con il cuore. Si, credo di aver raggiunto spesso momenti di felicità, a contatto con la gente, non solo africana o italiana, ascoltando la natura passeggiando nella foresta e alla scoperta delle viscere dell’Africa.

Molti schizofrenici hanno i loro periodi di felicità paradisiaca; ma il fatto che essi non sanno quando, e se, torneranno alla normale banalità rende questo paradiso spaventoso. Con questa frase, risultato di una mia precedente lettura, cosa voglio dire?!? Che sono forse pazzo (avendo anche buttato la frase senza logica nel mezzo del testo)? Probabilmente si… Nei momenti di lucidità penso che il Servizio Civile e Villaggio Fraternitè sono serviti a farmi capire che il Paradiso è in Africa, in Italia, dappertutto, tra la gente di tutte le parti del mondo, bisogna guadagnarselo pezzo per pezzo, assaporarlo e portarlo dentro di se, al costo di rivoluzionare e stravolgere se stessi. Il punto di vista da cui scrivo adesso è ben diverso dal punto di vista precedente alla mia permanenza a Villaggio Fraternitè, adesso è il punto di vista di un ragazzo soddisfatto di aver lavorato per una scuola, a disposizione di progetti di solidarietà, di aver vissuto l’Africa aiutando e arricchendosi in mezzo alla gente, guadagnando una fetta di paradiso da portare sempre dentro di se. La normale vita in Italia sarà ben diversa, perché non sono pazzo e farò tesoro indelebile di quanto guadagnato.
Giusto oggi che finisco di scrivere cercando di formulare i miei pensieri (spero con successo) è il 24 aprile 2017, 5 mesi dal mio arrivo, e rileggendo mi sentirei di riscrivere il tutto, ma in maniera migliore, più fervida e più ricca, perché anche a distanza di un solo mese sento questa esperienza sempre migliore, più fervida e più ricca.


Arrivederci, Au Revoir, Èyong Èfe, SayŌnara ...
Francesco Valerio 



venerdì 13 gennaio 2017

Impressioni di gennaio - Il racconto di Flavio, Volontario del Servizio Civile


Oggi ho pensato che sono ormai 3 mesi che sono qui, a Sangmelima. Il tempo è volato... veramente sembra ieri! Tanto e poco è successo in questo periodo: tanto, perché mi accorgo di aver imparato molto, soprattutto su di me; ho avuto la possibilità di conoscere meglio il progetto “Villaggio Fraternité”, veramente ben congeniato e condotto egregiamente da Michele (il capo progetto) e Valerio (il rappresentante paese), che ci hanno accolto splendidamente e che ci consigliano e guidano sempre. Ho trovato un po’ il mio ruolo qui a Villaggio, il che aiuta molto a muoversi nel mondo, soprattutto quando quel mondo tu non lo conosci affatto; ho poi trovato la cosa più importante di tutte, ovvero i bambini. Non è per luogo comune, ma effettivamente qui i bambini ti rubano il cuore con i loro sorrisi e i loro abbracci, donati gratuitamente a te – straniero – che non sai come ricambiare degnamente. Vederli divertirsi, giocare all’interno di una struttura che li accoglie come ogni bambino del mondo dovrebbe essere accolto non ha eguali. E vedere anche come venga apprezzato l’impegno che ogni giorno in primis Michele e Valerio, in secundis noi volontari mettiamo all’interno del progetto, è la più grande gratificazione che si possa ricevere; non per sentirci migliori degli altri o per puro egoismo, ma perché ci regala quel feedback che ci permette di dire “ok, siamo sulla strada giusta”.
Eppure ancora sento di non aver fatto nulla, o comunque abbastanza. O meglio, ho fatto la base, quel composto di calcare e bitume chiamato asfalto che ti permette di camminare su un terreno meno scivoloso, meno impervio; ma ancora non mi sono messo in cammino, non sono riuscito a crearmi una mia vita qui, con degli amici miei, dei legami miei e solo miei, tali da poter entrare effettivamente a far parte del tessuto della società che mi ospita. Penso sia importante per comprendere dove ti trovi e chi hai intorno, per poter, quindi, fare qualcosa di reale; il rischio, altrimenti, è di rimanere all’interno di queste quattro mura e tornare senza aver capito nulla di dove sei stato (e senza aver quindi inciso su nessuno).
Il tempo è volato e io non me ne sono accorto; e mi dispiace un sacco, non solo perché sento di aver perso del tempo prezioso, ma anche perché mi piace stare qui, mi piacciono le persone che incontro per strada, che girano attorno Villaggio Fraternité. E vorrei conoscerle molto meglio, farle mie, diventare loro amico e confidente.
A Natale abbiamo festeggiato con gli amici di Michele e le loro famiglie, tutti insieme, ed è stata una delle giornate più spensierate della mia vita, in cui mi sono sentito più in pace con me stesso. Ma mi accorgo che un po’ lo spaesamento, un po’ la lingua e un po’ la paura mi bloccano e non mi fanno fare quel passo in avanti decisivo. Quando mi immagino di farcela, mi vedo sulla soglia di una porta che affaccia sul vuoto, che gonfio il petto, mi metto degli occhialoni per proteggermi e salto giù. Se mi farò male, ne sarà valsa la pena. 

Ah, un piccolo aneddoto di questi 3 mesi in Africa:

Un giorno, decido che era giunto il momento di uscire da Villaggio (per l’appunto), così prendo la mia moto e mi avvio verso i villaggi presenti lungo la strada che porta al Centrafrica, villaggi che già avevo visitato insieme a Michele. Volevo “buttarmi”, conoscere un po’ di persone, fare due chiacchiere con la gente di qui. Insomma, dopo aver percorso un bel po’ di chilometri ed aver attraversato parecchi villaggi, e dopo soprattutto aver rinunciato alla mia idea originaria di fermarmi a un baretto a chiacchierare con chi fosse stato presente lì in quel momento (ne avessi visto uno, di bar, lungo la strada!), decido che avrei dato retta al prossimo che mi avesse urlato di fermarmi; infatti, lungo il percorso, in molti, seduti su una sedia appena fuori dalla loro abitazione, mi invitavano ad avvicinarmi, probabilmente incuriositi dal mio passare.
Il prossimo, in quel caso, si chiamava Kamir e stava lì seduto, intento a sorseggiare una bevanda biancastra assieme ai propri amici e parenti.Vedendomi, mi invita a sedermi, mi offre un bicchiere di quella bevanda (che ho scoperto dopo essere vino di palma) e inizia a chiedermi da dove vengo, cosa faccio, etc. Quando gli dico che sono un volontario di Villaggio Fraternité, mi dice di conoscerlo bene e che vorrebbe portare lì i suoi figli, perché ha sentito dire che, in quella scuola, i bambini sono ben seguiti ed escono preparati. Allora gli dico: “Beh, dai, allora vai e iscrivi i tuoi figli!”. Nella sua faccia, leggo scritto “povero ingenuo” a caratteri cubitali. Mi sorride, con il braccio disegna un arco a indicare tutto il villaggio che ci circonda e mi fa: “Qui mica ce ne ho uno o due; uno dei pulmini che avete lo riempirei solo io. Guardati intorno e vedrai figli miei ovunque!”.
Con questo, dopo i doverosi saluti e la promessa di rivedersi a breve, ho preso di nuovo la mia moto e me ne sono tornato a Villaggio, pensando, con un leggero sorriso, a quanto certe cose possano essere diverse da un paese all’altro, senza che tu te ne renda conto.

Flavio Boffi


mercoledì 23 novembre 2016

Perchè hai scelto il Servizio Civile Nazionale? Valerio: "Per avere l'opportunità di rivoluzionarmi"

Perchè hai scelto il Servizio Civile Nazionale? 

Rivoluzionare e rivoluzionarsi

Sarò sincero con voi, dopo la laurea la mia vita stava prendendo una direzione un po' troppo lineare (eh sì, la vita da ingegnere è abbastanza dura J).
Ho quindi deciso di fermarmi e riflettere… La necessità di una rivoluzione personale ha preso il sopravvento. Sfogliando tra le varie opportunità utili a questo scopo e riservate ai giovani come me (ancora per poco, s’intende XD) mi sono subito concentrato sul servizio civile all’estero. Leggendo i bandi ho individuato quelli che potevano meglio adattarsi alle mie passioni e alla  mia formazione. Ed ecco una miriade di opportunità in cui mettersi in gioco sia professionalmente che umanamente.
Ed ecco anche la possibilità per rivoluzionarsi, per spostare per un po' il centro della propria attenzione da sè stessi verso gli altri e per mettersi veramente in gioco.

Ho scelto l’Africa. Gli aspetti legati al mondo dell’acqua, dell’agricoltura e dell’ambiente hanno letteralmente conquistato la mia attenzione; senza riflessione alcuna, ho quindi compilato e spedito la domanda.

Non restava quindi che aspettare...

AVAZ ha scelto me e sono pronto.
O meglio: siamo pronti, saremo in quattro a partire per Sangmelima: Flavio, Silvia, Erika ed Io.
O meglio ancora, saremo in tantissimi: decine di ragazzi che come me hanno scelto il servizio civile all’estero per lasciare un pezzetto di se stessi in giro per il mondo per ritornare a casa un po’ più ricchi.

Forza Ragazzi!


Valerio Catania 

Perché hai scelto il Servizio Civile Nazionale? Erica: "Perché si vive di emozioni e il Servizio Civile Nazionale ne è pieno"

Perché fare l’esperienza di Servizio Civile Nazionale

Si può pensare che l’esperienza di Servizio Civile inizi nel momento in cui si prende un aereo per il Paese di destinazione.
Questa esperienza ha invece inizio nel momento in cui si decide di iscriversi alle selezioni,  perché già in quell’istante si ha riflettuto parecchio sul tipo di scelta fatta.
E di che tipo di scelta si tratta? Bisogna tener conto di molti fattori, come lo stare lontani da casa, dai propri cari, dalla routine. Si tratta di prendere in mano la propria vita e di valutare se è il momento di fare dei cambiamenti. 
Il Servizio Civile Nazionale ti dà l’opportunità di stare in un Paese estero per dieci mesi, in un contesto totalmente nuovo, persone nuove, lingua diversa. Una cultura sconosciuta, l’ignoto. Preoccupante, ma allo stesso adrenalinico ed elettrizzante.
Tutto questo però va in secondo piano rispetto alla motivazione che più di tutte ti spinge a fare domanda: la voglia di aiutare il prossimo, di voler fare qualcosa di concreto per migliorare la società. Sentirsi parte di un progetto il cui obiettivo è aiutare i paesi più poveri è stimolante. 
È vero che molti lo considerano un lavoro, è pagato certo. Ma nessuno può sperare di partire per un’esperienza simile per soldi o per una voce in più da aggiungere al curriculum.
Il Servizio Civile Nazionale dà anche questo, ma ciò che conta di più è il voler trasmettere i nostri valori e magari riuscire ad assorbirne di nuovi.
Questa è un’esperienza in cui si dà, si va per dare un contributo, un aiuto.

A rifletterci bene però, alla fine sarà più un ricevere di emozioni. Dire emozioni è facile, sentire sarà poi tutta un’altra cosa. Non riesco nemmeno ad immaginare quanto tutto questo cambierà e aiuterà la mia vita futura nel mondo.
Quindi alla domanda “ perché ho scelto di fare il SNC” , la mia risposta è perché si vive di emozioni e il Servizio Civile Nazionale ne è pieno.

Erica


mercoledì 2 novembre 2016

Perché hai scelto di fare il servizio civile? Silvia: "Per contribuire a realizzare un mondo migliore"


Mi chiamo Silvia ho 20 anni ed un pensiero fisso in testa: qual è il mio scopo nella vita ?

Fin da quando sono piccola mi sono sempre interrogata su questo argomento; non ho mai accettato l’idea di vivere una vita banale e inutile.Pensavo  che essere ricordati fosse fondamentale, sognavo di diventare medico, presidente e avvocato prestigioso: volevo lasciare un segno una traccia indelebile in questo mondo.

Crescendo ho capito che non è necessario comparire sui libri di storia per vivere una vita degna. Ho capito che forse la mia necessità di essere ricordata era legata alla paura di morire, sparire per sempre e quella sensazione di sentirsi così piccoli ed impotenti di fronte all'immensità di questo spazio e di questo tempo.

Mentre i miei compagni di liceo sceglievano l’università con una facilità impressionante io rimanevo lì, incagliata nelle mie paure e nei miei mille dubbi. Non volevo seguire la corrente e fare l’università perché la facevano tutti, non volevo sprecare il mio tempo, volevo renderlo parte di uno scopo da raggiungere, lo scopo della mia vita. Ma prima di fare tutto ciò dovevo individuarlo.

L’unica costante della mia vita era quella voglia di cambiare e di migliorare il mondo che ci circonda, quella sensazione di non sopportare le ingiustizie.

Vivere rispettando gli altri però non era sufficiente ad appagare la mia voglia di fare e di aiutare.
Avevo bisogno di fare un’esperienza forte che mi facesse realizzare davvero il mondo che mi circonda ed aiutarmi a trovare la strada per migliorarlo... 

Servizio civile all'estero era la risposta.



Perché hai scelto di fare il servizio civile? Flavio: "Perché mi rende felice"

Alla domanda “Perché hai scelto di fare il servizio civile?” le soluzioni al quesito possono essere infinite. Sicuramente, la risposta cambia a seconda della persona interrogatrice. Se a porla è un amico poco addentro al settore, risponderò: “Perché si conosce un sacco di gente nuova e si vive un’esperienza che…quando ti ricapita?!” teorizzando e praticando dunque “la banalità al potere”. Se invece a rivolgermela è qualcuno già conoscitore dell’ambiente, risponderò: “Perché, oltre al classico <<aiuto gli altri>>, posso crescere professionalmente. Perché poi lo sai che tutte le Ong chiedono almeno un anno di esperienza>>”.
Ma non regge questa spiegazione. Né questa, né qualche altra. La verità è una e una sola: non c’è un perché. O meglio, ce ne sono così tanti che alla fine ti sembrano banali, scontati e, in fondo, non veritieri. Si parte semplicemente perché...si è matti. Sì, è questa la realtà: se lasci il lavoro, gli affetti, la tranquillità, la routine non sei un eroe, probabilmente sei uno un po' sopra le righe. Un matto. “Curioso” potrebbe essere il diminutivo di questa interpretazione della parola, ma chi parte ha già raggiunto un livello superiore. Sei matto per il mondo, sei matto per la gente, perché la vuoi toccare, abbracciare, litigarci vis à vis. Non vuoi stare dove sei e brami per andare giù, in un mondo che non conosci, ma che ti affascina da morire. E già ti vedi sull'aereo, e già ti vedi lì in mezzo, immaginandoti volti, colori e situazioni (e restando, nella maggior parte dei casi, totalmente disilluso). L’Africa, il Sud America, sono solo stati della tua mente folle, che non riesce a ragionare, a concepire un mondo di limiti e barriere, un mondo finito. Se dovessi pensare a un minimo comune denominatore tra i civilisti, penserei all'incoscienza.
Potrebbe sembrare, da quanto scrivo, che - aggettivandomi in questo modo – voglia “farmi bello” agli occhi del lettore. No, assolutamente il contrario forse: chi parte non è coraggioso, non è fico e non è più sensibile degli altri. In moltissimi casi è un vigliacco che scappa e che non ha voglia di legarsi a una sola persona. Si potrebbe quasi definire un insensibile. Proprio perché non riesce a mettere barriere e lacci al suo corpo. Soluzioni diverse si potrebbero cercare: se solo si avesse coraggio, appunto, si potrebbe costruire la propria vita tentando di rimanere liberi, ma non per questo evitando di assumersi le proprie responsabilità, soprattutto nei confronti degli altri. Invece il civilista è il tizio che se la canta e se la suona, che mette davanti una serie di fandonie pur di non prendersi responsabilità. Sta così, vaga per il mondo alla ricerca di se stesso, o meglio: per scappare da se stesso. Peccato sia un processo teso all'infinito.

E allora ecco, a questa domanda non posso rispondere. Cambiando quanto scritto all'inizio, non posso rispondere non perché non vi sia un perché, ma in quanto il mio perché implicherebbe una serie di analisi su me stesso che, da evaso della vita, temo orribilmente. L’unica parola, frase, stato d’animo che, a pensarci, ha forse la capacità di far quadrare il cerchio potrebbe essere la felicità. Ecco, se ripenso ai miei periodi trascorsi all'estero impiegato come volontario, mi rivedo felice. Ero felice, davvero. Non si aveva nulla, nella maggior parte dei casi toccavi e vedevi cose schifose. Eppure avevamo tutti una energia vitale incredibile. Nascevano infatti legami, affetti, amori indissolubili. Qualunque preoccupazione o ansia che ci aveva perseguitato e attanagliato sino a quel momento, nel nuovo mondo non esisteva, scompariva, come fosse niente, come ci si fosse improvvisamente resi conto di quanto era niente. Ricordo le lacrime di gioia, ricordo i volti di tutti. Mi vedo felice.
L’altra immagine è del ritorno. Facilissimo essere risucchiati nuovamente nella routine tanto dileggiata e, di conseguenza, riacquisire tutte le ansie perdute e dar loro di nuovo un peso che non meritano. E ti dimentichi di quando eri felice, hai qualcosa di meglio da fare che dirti “Come sono fortunato”, come se essere felici non fosse abbastanza importante.
Poi leggi di un bando, di un nuovo progetto, di un’esperienza di volontariato. I ricordi tornano alla mente, la felicità si riaffaccia. Ti rivedi felice, tu che in quel momento vorresti piangere. E allora addio ai perché e alla razionalità, che si liberino le gabbie al folle. Si torna a ridere!  

giovedì 22 settembre 2016

Villaggio Fraternité visto con gli occhi di Martina


Martina Leto - Volontaria in Servizio Civile in Camerun. 
Il racconto a conclusione della sua esperienza di un anno, in cui ha dato il suo prezioso contributo per le attività a Villaggio Fraternité

A VILLAGGIO

A Villaggio le giornate iniziano presto, perché i bambini non dormono fino a tardi, perché a scuola bisogna arrivare puntuali e se perdi il bus poi te la devi fare a piedi. E allora, che ci sia fango o polvere a seconda della stagione, si arriva a scuola tutti sporchi, l’uniforme blu acceso ormai rossa di terra africana, e la maestra non sarà contenta. Per questo a partire dalla 6 e 30 sentiamo il vociare allegro dei bimbi, arrivati con i primi giri del bus. La giornata non può iniziare in modo migliore.
A Villaggio tutto cambia a seconda della stagione e del clima, la scuola ha tutto un altro aspetto a seconda che ci sia la pioggia o il sole. Il sole qui in Camerun, sull'Equatore, è abbagliante. Quando arriva, la sua luce è forte e intensa, per me in principio difficile da sopportare senza occhiali da sole. E non è solo il paesaggio a cambiare. Quando invece arrivano le piogge, i ritmi cambiano. Le attività iniziano un po' più tardi e vengono svolte più lentamente. Perché è l’acqua che fa da padrona per un po’. L’acqua che inonda le strade, che scorre per Villaggio in veri e propri torrenti, acqua che lava via la polvere e innaffia i campi. E allora aspettiamo che passi e magari ci fermiamo a guardarla, incantati dalla musica che fa.
A Villaggio non esiste il silenzio, esiste la tranquillità, la calma del mattino presto e della sera, ma il silenzio non esiste. Perché anche quando la scuola chiude e i bambini partono, quando i bus sono parcheggiati e la cucina ha servito l’ultimo piatto, quando temporali e sole cocente non fanno più risuonare le lamiere sul tetto, Villaggio è ancora vivo. Noi non siamo gli unici suoi inquilini. Così verde e inserito proprio nella foresta, è abitato da centinaia di specie diverse di insetti e uccelli e altre creature, e tutte ci fanno sentire la loro voce a tutte le ore del giorno, ma soprattutto della notte. Ci si addormenta con un dolce sottofondo di grilli, cicale e cinguettii; a volte anche i versi di altri animali, da noi considerati quasi mitologici, perché ancora non ne conosciamo la forma o l’aspetto.
A Villaggio si sentono parlare tante lingue differenti, mai la stessa. Il francese è senz'altro la lingua principale, e impararlo è stato incredibilmente divertente. I collaboratori di Villaggio, abituati ad accogliere volontari senza troppa padronanza ma con molto entusiasmo, hanno imparato ad usare l’immaginazione quando noi cerchiamo di spiegarci, soprattutto i primi tempi, e ti correggono e spiegano con pazienza, facendosi però sfuggire ogni tanto qualche sincera risata per i nostri strafalcioni.
Il Camerun è inoltre un paese bilingue, e oltre ad utilizzarlo nelle classi, non è raro sentire i bambini cantare l’inno nazionale al mattino, o recitare poesie e filastrocche in inglese. Tutti sanno che il bilinguismo è un dono. Tra noi espatriati parliamo naturalmente italiano, ma l’Italia da nord a sud è rappresentata nella nostra casa e le differenze linguistiche ci divertono anche di più del nostro francese. I locali tra di loro parlano più frequentemente il bulu, la musicale lingua dell’etnia del sud, ma per ora noi siamo limitati al francese, magari un giorno…
A Villaggio i protagonisti indiscussi sono i bambini. Quando non ci sono qui manca l’energia, la vita stessa di questa scuola.  I bambini di Villaggio hanno dai 3 ai 14 anni, la nostra scuola comprende la materna e la scuola elementare. Con i bambini non ci si annoia mai, sono pieni di idee e sempre divertiti dalla nostra presenza, che sia il nostro strano aspetto o il nostro francese bizzarro, ma non ti giudicano e non ti prendono in giro. I bambini di Villaggio sono disciplinati e attenti un momento e il momento dopo pieni di energie e giocosi, ma questo perché sono solo bambini, diversi in niente dai bambini italiani o di qualsiasi altra parte del mondo, hanno gli stessi sogni e la stessa sincerità. 

A Villaggio ho imparato la collaborazione, la cooperazione. A Villaggio ho potuto sperimentare che tutti, esperienza o meno, diplomi o meno, possono portare un grosso contributo ad un progetto, secondo le proprie qualità e che è così che scopri qualcosa di te stesso. A Villaggio ho conosciuto tante persone, imparato una lingua, assaggiato una cultura, approfondito un mestiere, stretto delle amicizie, giocato con i bambini, messo alla prova le mie capacità e tanto altro. Posso solo sperare di aver anche lasciato qualcosa, a Villaggio. 


Martina

venerdì 25 luglio 2014

Quando la scuola è chiusa, i lavori di manutenzione al Villaggio Fraternitè non si fermano...

L'anno scolastico è terminato ormai da qualche settimana, ma le attività a Villaggio non sono sospese, anzi! 

Come tutti gli anni durante il periodo estivo si continua con varie attività, tra le quali la cura del grande giardino che circonda le strutture, del quale la foresta circostante continua a cercare di rimpossessarsi. 

Inoltre viene ripristinata la strada bianca che porta dall'ingresso fino alle strutture scolastiche, che quest'anno verrà inoltre migliorata e cementata, per rendere più agevole l'accesso soprattutto durante il periodo delle piogge, ed è già stato acquistato il legname che verrà poi utilizzato durante tutto l'anno scolastico nella cucina della mensa.

Questo servirà a fornire cibo alla mensa durante l'anno scolastico, e quindi a rendere più indipendente (anche economicamente) il Villaggio. Le prime piante coltivate sono pomodori, peperoni, peperoncino, cetrioli, basilico e carote, che per ora sono in una zona coltivata a vivaio, ma che a breve saranno trapiantati nel resto dell'orto e nella zona già creata ed in via di predisposizione in un secondo orto a pochi metri di distanza.

Naturalmente si tratta di un progetto che, almeno all'inizio, richiede parecchio lavoro sia per il trattamento della terra che per la recinzione (che eviterà che i nostri cani curiosi vadano a sgambarsi nei posti sbagliati), ma siamo fiduciosi in questo progetto, che è stato molto ben accolto anche dalle nostre cuoche e da chi fisicamente se ne dovrà occupare.

A proposito di lavori edili, a breve procederemo all'abbattimento della vecchia struttura in cemento di sostegno per la cisterna di acqua, già sostituita da una nuova più efficiente e sicura.

Nel frattempo gli insegnanti sono ogni giorno in riunione per discutere del nuovo anno scolastico e per creare e migliorare i testi scolastici utilizzati dagli alunni, che vengono ideati, stampati e forniti direttamente dal Villaggio.

Ma la grande novità di quest'anno è l'orto (o meglio, gli orti), che le nostre cuoche stanno creando con il supporto tecnico di un esperto di agricoltura, e che sta già dando le prime soddisfazioni (se vi va di dare un'occhiata alle foto potrete vedere i tanti germogli che spuntano dalla terra, tenuti protetti con una struttura in legno ricoperta da foglie di palma da olio, come vuole il metodo tradizionale locale).

Sono inoltre appena iniziati i lavori di ristrutturazione dell'edificio adiacente al Centro d'Accoglienza, che diventerà il nuovo e ben organizzato magazzino, ed allo stesso tempo libererà la grande stanza che verrà adibita ad aula scolastica per la nuova classe in arrivo alla ripresa scolastica.

Insomma, non si può dire che ci annoi, nonostante la mancanza dei nostri alunni!
Carlo
iniziano i lavori nel secondo orto

i pomodori che spuntano nel vivaio

la nuova legna che servirà per cucinare i pasti degli alunni durante il prossimo anno scolastico

le operazioni di copertura del vivaio


la legnaia quasi vuota alla fine dell'anno scolastico


Fifi, una delle nostre cuoche, mentre si occupa dell'insetticida

Lady nella sua lotta quotidiana per tenere a bada l'erba

lavori di riparazione della staccionata

la preparazione del primo dei due orti, a destra il futuro vivaio