Sono ormai circa
tre mesi che mi trovo nel continente africano, anche se sembra di essere qui da
sempre, anche se sembra ieri che, appena scesa dall’aereo, mi son sentita
travolta da una sensazione nostalgica e allo stesso tempo gioiosa.
Se guardo
indietro mi rendo conto che già tanti sono gli sguardi incrociati, le mani
tenute, le parole ascoltate, come altrettanti sono gli sforzi e le fatiche che
all’inizio di questa mia esperienza ho dovuto affrontare. Eppure ricordo ancora
molto lucidamente quel giorno di Settembre in cui capii che “questo è il luogo
che Dio ha scelto per te, questo è il tempo pensato per te, quella che vedi è
la strada tracciata per te e quello che senti l’Amore che ti accompagnerà.”
Come ogni
inizio, anche quello di quest’anno di servizio civile è stato parecchio
difficile, ma non ho mai dimenticato queste parole, non ho mai dimenticato di
essere qui perché scelta e mandata dal Signore.
Ogni giorno
faticoso, ogni ostacolo, ogni lotta contro i mulini a vento, ho avuto la
fortuna di combatterli con una Forza più grande di qualsiasi ricaduta, una
Forza che mi spinge a non demordere, anche quando sono debole. Se vi dico che
qui a Sangmelìma (cittadina del sud del Cameroun) per riuscire ad andare ad una
messa cattolica ci ho messo circa un mese, son sicura resterete un po’
sorpresi, eppure è così.
Capita che
cammini e, sbagliando incrocio arrivi ad una chiesa e ti ritrovi in macchina
con un pastore protestante per andare a festeggiare il giorno del Signore in un
villaggio nel cuore della foresta; capita che sbagli l’orario della messa e
arrivi a quella in bulu (lingua locale) e francese, senza così comprenderne più
della metà; capita che, per andare alla parrocchia che ti hanno suggerito, non
hai mezzi di trasporto e devi camminare 45 minuti per raggiungere la Chiesa e
ricevere il corpo di Cristo.
Eppure, grazie
ad ogni piccola sfida, grazie alle persone che mi sono vicine anche da lontano,
riesco, un passo dopo l’altro, a rialzarmi per camminare.
Nonostante sia
partita con un’idea molto precisa della “mia Africa”, nonostante questi miei
pensieri non possano qui trovare concretezza, ho capito che la vera missione a
cui siamo chiamati, è quella di ricercare il bene più grande, cioè la nostra
felicità, mettendoci in gioco con gli altri e per gli altri.
Così, negli
abbracci dei miei bambini della scuola materna, nella loro dolcezza con cui mi
chiamano “Tata Ilaria”, nella loro spontaneità e, perché no, nei loro capricci,
riesco a sentirmi pienamente serena. Così, nelle persone con cui lavoro, nel
confronto con tante diversità, culturali e non, nella condivisione di valori,
riesco a mettere in luce i miei difetti, cercare di accettarli e guardarli come
dono del Signore. Così, nel lavoro quotidiano della terra, nella cura
dell’orto, nell’annaffiare e nel vedere germogliare e crescere il seme
piantato, riesco ogni giorno a stupirmi della bellezza e della grandezza del
Creato.
Sono ormai circa
tre mesi che mi trovo nel continente africano e tante continuano ad essere le
novità con cui bisogna confrontarsi, come tante le domande che mi sorgono e mi
mettono in difficoltà. Tuttavia, se guardo i sorrisi di quei bambini orfani,
quello della piccola Divine o quello di Zee, capisco quanto il Signore sia
grande perché si è fatto piccolo tra i piccoli per annunciarci che ogni croce
che portiamo non deve essere motivo di tristezza ma di gioia e che con l’aiuto
della fede, possiamo trasformarle in uno strumento di salvezza per il nostro
cammino verso la santità.
Ilaria Tinelli
Volontaria in Servizio Civile
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