Alla
domanda “Perché hai scelto di fare il servizio civile?” le soluzioni al
quesito possono essere infinite. Sicuramente, la risposta cambia a seconda
della persona interrogatrice. Se a porla è un amico poco addentro al settore,
risponderò: “Perché si conosce un sacco di gente nuova e si vive un’esperienza
che…quando ti ricapita?!” teorizzando e praticando dunque “la banalità al
potere”. Se invece a rivolgermela è qualcuno già conoscitore dell’ambiente,
risponderò: “Perché, oltre al classico <<aiuto gli altri>>, posso
crescere professionalmente. Perché poi lo
sai che tutte le Ong chiedono almeno un anno di esperienza>>”.
Ma
non regge questa spiegazione. Né questa, né qualche altra. La verità è una e
una sola: non c’è un perché. O meglio, ce ne sono così tanti che alla fine ti
sembrano banali, scontati e, in fondo, non veritieri. Si parte semplicemente perché...si è matti. Sì, è questa la realtà: se lasci il lavoro, gli affetti, la
tranquillità, la routine non sei un eroe, probabilmente sei uno un po' sopra le righe. Un matto. “Curioso” potrebbe essere il diminutivo di questa
interpretazione della parola, ma chi parte ha già raggiunto un livello
superiore. Sei matto per il mondo, sei matto per la gente, perché la vuoi toccare,
abbracciare, litigarci vis à vis. Non
vuoi stare dove sei e brami per andare giù, in un mondo che non conosci, ma che
ti affascina da morire. E già ti vedi sull'aereo, e già ti vedi lì in mezzo,
immaginandoti volti, colori e situazioni (e restando, nella maggior parte dei
casi, totalmente disilluso). L’Africa, il Sud America, sono solo stati della
tua mente folle, che non riesce a ragionare, a concepire un mondo di limiti e
barriere, un mondo finito. Se dovessi pensare a un minimo comune denominatore
tra i civilisti, penserei all'incoscienza.
Potrebbe
sembrare, da quanto scrivo, che - aggettivandomi in questo modo – voglia “farmi
bello” agli occhi del lettore. No, assolutamente il contrario forse: chi parte
non è coraggioso, non è fico e non è più sensibile degli altri. In moltissimi
casi è un vigliacco che scappa e che non ha voglia di legarsi a una sola
persona. Si potrebbe quasi definire un insensibile.
Proprio perché non riesce a mettere barriere e lacci al suo corpo. Soluzioni
diverse si potrebbero cercare: se solo si avesse coraggio, appunto, si potrebbe
costruire la propria vita tentando di rimanere liberi, ma non per questo
evitando di assumersi le proprie responsabilità, soprattutto nei confronti
degli altri. Invece il civilista è il tizio che se la canta e se la suona, che
mette davanti una serie di fandonie pur di non prendersi responsabilità. Sta
così, vaga per il mondo alla ricerca di se stesso, o meglio: per scappare da se
stesso. Peccato sia un processo teso all'infinito.
E
allora ecco, a questa domanda non posso rispondere. Cambiando quanto scritto
all'inizio, non posso rispondere non perché non vi sia un perché, ma in quanto il mio perché
implicherebbe una serie di analisi su me stesso che, da evaso della vita,
temo orribilmente. L’unica parola, frase, stato d’animo che, a pensarci, ha
forse la capacità di far quadrare il cerchio potrebbe essere la felicità. Ecco, se ripenso ai miei
periodi trascorsi all'estero impiegato come volontario, mi rivedo felice. Ero
felice, davvero. Non si aveva nulla, nella maggior parte dei casi toccavi e
vedevi cose schifose. Eppure avevamo tutti una energia vitale incredibile.
Nascevano infatti legami, affetti, amori indissolubili. Qualunque
preoccupazione o ansia che ci aveva perseguitato e attanagliato sino a quel
momento, nel nuovo mondo non esisteva, scompariva, come fosse niente, come ci
si fosse improvvisamente resi conto di quanto era niente. Ricordo le lacrime di
gioia, ricordo i volti di tutti. Mi vedo felice.
L’altra
immagine è del ritorno. Facilissimo essere risucchiati nuovamente nella routine
tanto dileggiata e, di conseguenza, riacquisire tutte le ansie perdute e dar
loro di nuovo un peso che non meritano. E ti dimentichi di quando eri felice,
hai qualcosa di meglio da fare che dirti “Come sono fortunato”, come se essere
felici non fosse abbastanza importante.
Poi leggi di un bando,
di un nuovo progetto, di un’esperienza di volontariato. I ricordi tornano alla
mente, la felicità si riaffaccia. Ti rivedi felice, tu che in quel momento
vorresti piangere. E allora addio ai perché e alla razionalità, che si liberino
le gabbie al folle. Si
torna a ridere!
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