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lunedì 9 ottobre 2017

Articolo di fine Servizio Civile - Flavio Boffi


Ora calmati. Mettiti seduto, rilassati e calmati. Lo sapevi dall’inizio che sarebbe arrivato questo giorno. Non sarai né il primo né l’ultimo che farà esperienze del genere, e nemmeno l’ultimo che se ne andrà con il groppo in gola. Nemmeno a dire che hai lasciato ‘sto segno indelebile non dico nella società, ma manco in una persona. Sì, hai vissuto, amato e scoperto. E qualcuno si ricorderà di te ancora per un po’ dopo la tua partenza. Ma nulla di più. Punto, a capo, capitolo b. 
E allora smettila di filosofare, di guardarti intorno con gli occhi gonfi di lacrime come fosse qualcosa a cui vorresti disperatamente aggrapparti. Smettila di cercare parole per descrivere quanto sia stato bello quest’anno. Sì, lo è stato. È stato una scoperta di tutto, a partire da me stesso. Sono arrivato con mille idee, me ne torno con una matassa che forse il tempo mi aiuterà a sbrogliare. Sono partito portandomi il fardello dell’uomo bianco: “Tutta colpa nostra”, mi dicevo. Una volta qui, ho stravolto il mio pensiero e iniziato a criticare dentro di me quasi tutto quello che vedevo intorno. Il tempo ha fatto il suo e ora apprezzo e comprendo, e quello che ancora critico lo leggo sotto un’altra lente, forse più grande, o semplicemente meno sfocata. 
Ora, non voglio fare un’analisi di tutto quello che ho visto, interpretato e riprodotto in quest’anno di servizio civile: sarebbe troppo lungo e troppo contorto ancora. E più che una considerazione, vorrei lasciare qui, su questo foglio, solo un desiderio: vorrei portare con me, nella mia vita, la loro leggerezza, la leggerezza degli africani. Ho visto padri rischiare di perdere i propri figli e continuare comunque a sorridere, ho visto sogni spezzarsi senza per questo piegare il sognatore. Ho visto vite leggere, che non si fanno il fegato marcio per qualunque cosa intorno non vada come dovrebbe o vorrebbero loro. “È così, è la vita, prendere o lasciare”, sembrano dire. 
Me ne vado con la consapevolezza di non aver dato pressoché nulla, di aver ricevuto abbracci e sorrisi immeritati, lascio qualcosa in sospeso che solo il tempo, forse, risolverà. E no, non me ne vado felice. Vorrei restare, ora che ho cominciato a capirci qualcosa del posto dove sono, ora che distinguo volti, sguardi interessati da sguardi sinceri, ora che non ho più paura. Vorrei restare, ma non posso. Più probabilmente non ho il coraggio di restare senza paracadute. Conosco qualcuno che rimarrà anche dopo, in altri paesi e in altri luoghi. Avete la mia stima e vi auguro il meglio. Per me, è ora di rientrare. Diverso da come sono partito, consapevole che non riuscirò mai a capire e conoscere tutti i mondi che compongono questa terra, ma speranzoso di conoscerli tutti. Magari con una vita presa più alla leggera, intensa e mai banale. 
Come diceva Charlie Chaplin: “Vivi come credi. Fai cosa ti dice il cuore…ciò che vuoi… una vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali. Canta, ridi, balla, ama…e vivi intensamente ogni momento della tua vita… prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi”.   

Flavio Boffi
Volontario in Servizio Civile in Camerun

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