Sono
ormai 5 mesi che vivo in Africa. Sembra ancora ieri che sono arrivata per
iniziare il mio servizio civile in Camerun, più precisamente Sangmèlima, che è
una "ville" abbastanza tranquilla e in continuo sviluppo. Sono molti
i Paesi che contribuiscono a questo sviluppo, non solo le ONG italiane come
Avaz; per esempio c'è una forte presenza cinese per quanto riguarda la
costruzione di strade o per lavori riguardanti la potabilizzazione dell'acqua.
Già
dal primo giorno mi resi conto che qui tutto era diverso e c'era quindi bisogno
di un'attenzione in più per viverci. Il mio primo passo fuori dall'auto e già
avevo mezza gamba immersa in una pozzanghera che sembrava decisamente meno
profonda di quel che poi era. Oppure il primo pasto fatto che era riso con
salsa di arachidi, a cui purtroppo proprio non riesco a farci l'abitudine. Sono
tante le differenze in campo di cibo, abitudini, lingua, modo di esprimersi o
ancora il pensiero e la tradizione. Dopo aver notato tutte queste differenze
però, quello che salta più all'occhio è invece quanto siamo simili come
persone. Lavorano, escono in compagnia, vanno a messa; probabilmente la
differenza per quanto riguarda le tempistiche è la più notevole. Se da noi al
ristorante aspettare mezzora è già qualcosa di insopportabile, qui l'attesa da
più di due ore è tranquillamente accettata. Quando capita qualcosa di brutto o
imprevisti spiacevoli, il loro motto sembra essere "ormai che posso farci,
andiamo avanti". E questo condiziona il loro modo di vivere. Hanno
trovato, secondo me, la maniera per vivere senza avere troppi problemi o
pensieri inutili per quanto riguarda cose ormai passate. Guardano sempre al
presente. In questo senso devo dire che trovo il Camerun un paese molto
positivo.
Per
quanto riguarda in modo più specifico il lavoro "servizio civile" qui
a Sangmèlima, ovvero la gestione di una scuola materna e primaria con annesso
un centro di accoglienza per i bambini più in difficoltà, devo dire che
inizialmente forse ho fatto fatica a capire quale fosse il mio ruolo. Arrivi in
un paese diverso da quello dove sei nata e cresciuta e ti trovi a dover
svolgere dei compiti che nemmeno sapevi esistessero o riguardassero la gestione
scolastica. Fortunatamente il progetto era già ben avviato, quindi non è stato
difficile capire come funzionava. La parte più difficile inizialmente è stata
probabilmente il riuscire a ricordare i volti dei bambini e associare i nomi
alle persone; mentre ora è quotidianità il chiamarli per nome. L'attività che
svolgo in classe nel fare corsi di inglese ha aiutato molto la mia memoria
riguardo questo fatto, vedendo più spesso i bambini.
Il
rapporto col personale è molto buono, ormai ci si conosce. A volte mi chiedo
cosa ne pensino loro nel vedere ogni anno gente nuova con cui lavorare. Penso
non sia facile nemmeno per loro l'"adattarsi" a noi nuovi volontari.
Ci vuole pazienza da entrambe le parti e sicuramente la voglia di collaborare per
fare funzionare il progetto è essenziale.
Quest'anno
per la prima volta qui, i civilisti sono 4. Il rapporto instaurato con loro è
essenziale, non solo perché si lavora insieme quotidianamente, ma anche perché
ci si trova a convivere. Sono persone che come te hanno deciso di partire, per
mettersi in gioco e con cui quindi avrai sempre un pensiero comune che lega.
Allo
stesso livello di legame tra civilisti, c'è quello con i responsabili del
progetto. Si passa molto tempo tutti insieme, quindi alla fine nonostante sia
per un tempo limitato, diventano la tua famiglia sulla quale puoi fare
affidamento. I responsabili sono coloro che ti accolgono quando arrivi, ti
spiegano come funziona, ti fanno sentire a casa e cercano di esserci il più
possibile in caso di necessità e non.
Vorrei
raccontare un aneddoto per cercare di farvi capire che tipo di esperienza unica
e vasta sia il servizio civile: il capodanno cinese a Sangmèlima.
Non
ricordo il giorno preciso, ma era un giorno di gennaio. Vivendo da un po’ qui,
le conoscenze fatte sono molte. Per esempio, per questo episodio, dei ragazzi
di nazionalità cinese che come noi si trovano a lavorare in Camerun, un
ingegnere tunisino e un'ormai amica giapponese. Essendo quindi giorno di festa
cinese per il capodanno, questi tre ragazzi hanno invitato noi italiani e i qui
sopra citati, per aggiungerci a cena e festeggiare con loro. È stata una
bellissima serata in compagnia, tutti seduti attorno allo stesso tavolo per
parlare, ridere e scherzare. Questa scena della nostra tavolata in festa mi è
rimasta molto impressa, perché mi ha fatto pensare: "Cinesi, tunisini,
giapponesi e italiani, tutti seduti allo stesso tavolo, in Camerun, a cercare
di comunicare in francese o inglese, quando nessuno di noi è di nazionalità
francese o inglese". Qui ho capito qualcosa in più su che tipo di
esperienza è e può essere questa. Davvero unica.
Erica
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.