I nostri Progetti

giovedì 11 maggio 2017

La testimonianza di Erica, Volontaria del Servizio Civile

Sono ormai 5 mesi che vivo in Africa. Sembra ancora ieri che sono arrivata per iniziare il mio servizio civile in Camerun, più precisamente Sangmèlima, che è una "ville" abbastanza tranquilla e in continuo sviluppo. Sono molti i Paesi che contribuiscono a questo sviluppo, non solo le ONG italiane come Avaz; per esempio c'è una forte presenza cinese per quanto riguarda la costruzione di strade o per lavori riguardanti la potabilizzazione dell'acqua.

Già dal primo giorno mi resi conto che qui tutto era diverso e c'era quindi bisogno di un'attenzione in più per viverci. Il mio primo passo fuori dall'auto e già avevo mezza gamba immersa in una pozzanghera che sembrava decisamente meno profonda di quel che poi era. Oppure il primo pasto fatto che era riso con salsa di arachidi, a cui purtroppo proprio non riesco a farci l'abitudine. Sono tante le differenze in campo di cibo, abitudini, lingua, modo di esprimersi o ancora il pensiero e la tradizione. Dopo aver notato tutte queste differenze però, quello che salta più all'occhio è invece quanto siamo simili come persone. Lavorano, escono in compagnia, vanno a messa; probabilmente la differenza per quanto riguarda le tempistiche è la più notevole. Se da noi al ristorante aspettare mezzora è già qualcosa di insopportabile, qui l'attesa da più di due ore è tranquillamente accettata. Quando capita qualcosa di brutto o imprevisti spiacevoli, il loro motto sembra essere "ormai che posso farci, andiamo avanti". E questo condiziona il loro modo di vivere. Hanno trovato, secondo me, la maniera per vivere senza avere troppi problemi o pensieri inutili per quanto riguarda cose ormai passate. Guardano sempre al presente. In questo senso devo dire che trovo il Camerun un paese molto positivo.

Per quanto riguarda in modo più specifico il lavoro "servizio civile" qui a Sangmèlima, ovvero la gestione di una scuola materna e primaria con annesso un centro di accoglienza per i bambini più in difficoltà, devo dire che inizialmente forse ho fatto fatica a capire quale fosse il mio ruolo. Arrivi in un paese diverso da quello dove sei nata e cresciuta e ti trovi a dover svolgere dei compiti che nemmeno sapevi esistessero o riguardassero la gestione scolastica. Fortunatamente il progetto era già ben avviato, quindi non è stato difficile capire come funzionava. La parte più difficile inizialmente è stata probabilmente il riuscire a ricordare i volti dei bambini e associare i nomi alle persone; mentre ora è quotidianità il chiamarli per nome. L'attività che svolgo in classe nel fare corsi di inglese ha aiutato molto la mia memoria riguardo questo fatto, vedendo più spesso i bambini.

Il rapporto col personale è molto buono, ormai ci si conosce. A volte mi chiedo cosa ne pensino loro nel vedere ogni anno gente nuova con cui lavorare. Penso non sia facile nemmeno per loro l'"adattarsi" a noi nuovi volontari. Ci vuole pazienza da entrambe le parti e sicuramente la voglia di collaborare per fare funzionare il progetto è essenziale.

Quest'anno per la prima volta qui, i civilisti sono 4. Il rapporto instaurato con loro è essenziale, non solo perché si lavora insieme quotidianamente, ma anche perché ci si trova a convivere. Sono persone che come te hanno deciso di partire, per mettersi in gioco e con cui quindi avrai sempre un pensiero comune che lega.

Allo stesso livello di legame tra civilisti, c'è quello con i responsabili del progetto. Si passa molto tempo tutti insieme, quindi alla fine nonostante sia per un tempo limitato, diventano la tua famiglia sulla quale puoi fare affidamento. I responsabili sono coloro che ti accolgono quando arrivi, ti spiegano come funziona, ti fanno sentire a casa e cercano di esserci il più possibile in caso di necessità e non.

Vorrei raccontare un aneddoto per cercare di farvi capire che tipo di esperienza unica e vasta sia il servizio civile: il capodanno cinese a Sangmèlima.

Non ricordo il giorno preciso, ma era un giorno di gennaio. Vivendo da un po’ qui, le conoscenze fatte sono molte. Per esempio, per questo episodio, dei ragazzi di nazionalità cinese che come noi si trovano a lavorare in Camerun, un ingegnere tunisino e un'ormai amica giapponese. Essendo quindi giorno di festa cinese per il capodanno, questi tre ragazzi hanno invitato noi italiani e i qui sopra citati, per aggiungerci a cena e festeggiare con loro. È stata una bellissima serata in compagnia, tutti seduti attorno allo stesso tavolo per parlare, ridere e scherzare. Questa scena della nostra tavolata in festa mi è rimasta molto impressa, perché mi ha fatto pensare: "Cinesi, tunisini, giapponesi e italiani, tutti seduti allo stesso tavolo, in Camerun, a cercare di comunicare in francese o inglese, quando nessuno di noi è di nazionalità francese o inglese". Qui ho capito qualcosa in più su che tipo di esperienza è e può essere questa. Davvero unica.

Erica

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