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giovedì 27 febbraio 2020

Scoiattoli alle noci


C’è un vecchio film in cui il tizio dice alla fanciulla:
“... è strano, lei non sembra essere inibita… allora perché ha pensato di essere fuori posto? Nessuno può dirle qual è il suo posto... dove è il mio posto? Dove è il posto degli altri? Glielo dico io dove è. Dove lei è felice, lì è il suo posto.”

Ecco, posso dire che nella seconda metà del servizio civile, poiché le circostanze hanno fatto sì che l’esperienza procedesse secondo una direzione diversa rispetto a quella con cui era iniziata, mi sono interrogata diverse volte; dapprima per capire quale fosse il “mio posto” a Villaggio Fraternité, in quella piccola città a sud del Camerun (Sangmelima) e poi in generale se quel “posto” potesse essere nel mondo della cooperazione, che tanto mi aveva affascinato.
Per la seconda questione ho pensato di procrastinare momentaneamente la risposta, mentre per la prima ho deciso che la scelta migliore sarebbe stata quella di cercare di adattarsi, di essere flessibile e di trovare una nuova collocazione in quel contesto; ho perciò cominciato a correre (metaforicamente e letteralmente) ovunque ci fosse necessità e a svolgere qualsivoglia compito mi venisse assegnato, cercando di farlo sempre al meglio. 
A Villaggio avrei potuto fare certamente molto di più, ma poiché ho imparato ad essere un po’ meno severa con me stessa, posso dire che va bene così; in generale ho cercato di “profiter”: ho viaggiato “in solitaria” e in gruppo (adottata da dolcissime civiliste di un’altra ONG) e questo mi ha consentito di trarre il meglio sia dalla condivisione con altre persone che dallo star soli; in quest’ultima occasione ho scoperto una nuova sensazione di libertà. Mi sono lasciata trasportare da ciò che la realtà mi proponeva e ad un certo punto ho cominciato ad agire con più leggerezza, io che viaggio da sempre con pesantissime zavorre... e mi sono resa conto di questo piccolo ma grande mutamento che il Camerun aveva prodotto. Questo Camerun amato/odiato in un’altalena emotiva durata un anno.

È finita e come nei film alla fine sullo schermo nero scorrono i titoli di coda e i ringraziamenti alle persone che vi hanno partecipato.
Villaggio: un luogo speciale, una scuola unica e una vera e propria casa per tante persone, adulti e bambini.
La mia famiglia AVAZ a Roma e a Sangmelima. Gli chefs, amici e fratelli prima ancora che guide: hanno ascoltato i miei pensieri confusi e tentato di dare delle risposte; mi hanno sostenuto e supportato in plurime circostanze, mi hanno stimolato e attraverso conversazioni maieutiche mi hanno permesso di tirar fuori pensieri e riflessioni impolverati che per mia natura fanno fatica ad emergere; le loro splendide compagne hanno capito i miei complessi e le mie insicurezze e hanno “lavorato” in silenzio per ridimensionarli.
I miei piccoli coinquilini con cui sono cresciuta anche io, due bimbetti speciali che con abbracci e riflessioni “adulte” mi hanno conquistata (nonostante pianti e sveglie all’alba) e commosso, bussando al mio cuore duro.
Gli amici, alcuni dei quali sono diventati persone di cui mi sono fidata, io, sfiduciata per natura. Mi hanno accolta, integrata, aiutata ed io ho tentato di fare lo stesso nel mio piccolo.
Le mie sorelle: una ex volontaria, un’esplosione di carica, un arcobaleno dopo le piogge torrenziali camerunesi, diventata la complice che mi ha traghettato davvero fino alla fine (accompagnandomi in aeroporto) e una suora speciale, la compagna di viaggio degli ultimi sei mesi dal sorriso aperto e dalle braccia accoglienti, sempre pronta a dispensare consigli e adorabili quotidiane prese in giro. 
Chi si è affacciato sul percorso un po’ per caso, chissà...
Chi ha contribuito a farmi apprezzare questa cultura diversa, a farmi capire che non bisogna arrendersi anche quando tutto suggerirebbe di spegnersi.
Chi rimarrà nonostante le distanze.
A tutti loro va un sincero grazie!

Infine a chi mi chiederà nei prossimi giorni perché non si resta semplicemente in Italia, perché si parte per terre lontane, credo citerò sempre lo stesso vecchio film in cui il solito tizio dice che c’è gente che va al parco a dare noci agli scoiattoli perché farlo le rende felici. Ma alla fine, scoprire che ti rende più felice dare scoiattoli alle noci, va bene lo stesso.

Alessandra


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