È metà maggio, e tra qualche settimana
scadrà il mio visto di sei mesi per vivere in Cameroun. Questo vuol dire che
sono già a metà della mia esperienza di servizio civile. Ricordo perfettamente
la spaesatezza e la confusione con cui osservavo la silhouette della foresta
equatoriale fuori dal finestrino durante il tragitto Yaoundé -Sangmelima il
giorno del mio arrivo. Quella è stata una delle prime occasioni in cui mi sono
detta “Fra, sei in Africa”.
Arrivata a
Villaggio Fraternité, di sera, le cicale mi hanno fatta sentire un po’ come a
casa mia d’estate. Un’altra cosa che Villaggio ha in comune con casa mia in
Toscana è il fatto di trovarsi a qualche chilometro dal centro città. Siamo
immersi nel verde e lontani dal brusio della ville.
Nonostante le
somiglianze con il mio paesino natale, ce ne ho messo di tempo per adattarmi!
I primi due
mesi mi sentivo un po’ persa, sia nei confronti del mio ruolo nel progetto, sia
nella quotidianità. Ma non ho mai pensato di aver fatto la scelta sbagliata e
di voler tornare indietro. Infatti col tempo e la voglia di fare ho trovato la
mia dimensione e adesso mi sento a mio agio con il contesto e con me stessa.
Per questo devo
ringraziare i sorrisi dei bambini, i consigli dei miei “Chefs” Flavio Valerio e
Michele e le parole di conforto scambiate con le mie colleghe civiliste, ormai
“mes sœurs”.
In questi mesi
ho imparato molte cose ma quella più importante è a mettermi in discussione, e
sono tante le volte in cui mi sono trovata a farlo.
In primis ho
imparato a mettere in discussione le aspettative. Si parte dall’Italia un po’
tutti con l’idea di aiutare il prossimo e che quindi si ricoprirà un ruolo
indispensabile, e invece ti rendi conto che non è proprio così.. Villaggio
Fraternité è un progetto già ben avviato, che gode di un’ottima reputazione a
Sangmélima e resta solo da perfezionarlo.
Se all’inizio
questa cosa mi frustrava, adesso ho capito che è bene rendersi utili ma mai
indispensabili, e che le persone apprezzano quello che fai, anche se è un
piccolo gesto, se lo fai con il cuore.
Inoltre ho
imparato a mettere in discussione le mie certezze. Sorrido quando penso che,
fino a prima della mia partenza, chiedevo se ci fosse possibilità di tornare
qualche mese prima per cominciare di fretta e furia la magistrale - perché non
si può “perdere”un altro anno. Adesso se mi offrissero di rimanere qualche mese
in più accetterei senza pensarci due volte!
Ho imparato che
cos’è un progetto di sviluppo ed ho toccato concretamente l’impegno e la fatica
che stanno alla base di tutto ciò. Professionalmente mi sono messa in gioco in
mansioni che non avrei mai pensato di svolgere, prima di scegliere di fare in
servizio civile. Le lezioni di inglese con i bambini si sono rivelate una
ricchezza soprattutto per me; ho scoperto l’importanza di lavorare sull’aspetto
comunicativo di un progetto; ho provato la gioia nel vedere spuntare da sotto
il suolo le prime fogline dei semi che avevo piantato, e l’orgoglio nel vederle
crescere!
Ho imparato a
sentirmi la diversa, la mtangan, la blanche, la wat e a fare i conti con i
pregiudizi e le immagini che questi appellativi creano nell’immaginario degli
Africani.
Ma soprattutto
ho imparato tanto, moltissimo su di me e su una parte del mio carattere che era
ancora totalmente inesplorata. Perché il Servizio Civile è molto più di un anno
di volontariato all’estero; in quell’anno vivi, e impari a vivere veramente.
Non mi resta che
dire che aspetto con ansia di vedere cosa mi riserveranno i prossimi sei mesi.
di Francesca Bucaletti
di Francesca Bucaletti
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